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Fca, quegli aiuti di Stato che fanno storcere il naso

Decreto Liquidità: la multinazionale ha chiesto garanzie allo Stato

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La notizia che il Gruppo Fca avrebbe richiesto garanzie pubbliche a Sace su finanziamenti fino a 6,3 miliardi di euro sta suscitando comprensibile clamore. La ferita del trasferimento della sede legale del gruppo in Olanda è ancora fresca e probabilmente, per tutto quello che è stato, è anche giusto che non potrà mai rimarginarsi del tutto, ma stupisce ugualmente vedere salire sul carro delle “polemiche da tweet” anche esponenti e forze politiche solitamente più inclini a riflessioni più meditate.

Se Fca chiede 6,3 miliardi di euro di garanzie allo Stato italiano per il tramite di Sace, ai sensi dell’art. 1 del Dl Liquidità, vuol dire anzitutto che il gruppo ha sviluppato in Italia nel 2019 fatturato per almeno 25,2 miliardi di euro, oppure ha costi del personale in Italia per 3,15 miliardi di euro. Tali sono infatti i parametri (25% del fatturato 2019 o doppio del costo del personale 2019) cui la lett. c) dell’art. 1 co. 2 del Dl Liquidità aggancia il tetto massimo di garanzie richiedibili, da leggere in combinato con il disposto del successivo co. 3 del medesimo art. 1, ai sensi del quale “si fa riferimento al valore del fatturato in Italia e dei costi del personale sostenuti in Italia”.

È chiaro e (ribadiamo) comprensibile che la prima reazione di fronte a questa notizia sia quella di disagio, a fronte di una multinazionale che non è venuta a investire in Italia, ma che, nata italiana, ha scelto di non essere più italiana nella sua “testa”. Tuttavia, questi numeri dovrebbero spingere almeno i più avveduti a rendersi conto quanto questa multinazionale, non più italiana, continui a pesare in termini di produzione e occupazione per l’Italia, prima di lanciarsi in auspici di emarginazioni punitive che non rimarrebbero certamente senza conseguenze (non, per intenderci, quelle di un ritorno in Italia della sede legale, ma semmai quelle dello spostamento altrove degli stabilimenti in Italia).

Una politica seria dovrebbe porsi semmai il tema di blindare in modo adeguato le “norme di tutela del sistema Paese” che già sono tracciate nella norma. Ad esempio, laddove la lett. l) dell’art. 1 co. 2 del DL Liquidità già recita “l’impresa che beneficia della garanzia assume l’impegno a gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali”, si può pensare di rendere chiaro che il venir meno di questo impegno può consentire al soggetto garante (lo Stato per il tramite di Sace) di decidere se far decadere la garanzia prestata.

Un automatismo in questo senso darebbe un potere di contrattazione eccessivo ai sindacati, ma una facoltà espressa consentirebbe allo Stato un potere non da poco nei confronti di quelle multinazionali (non solo Fca, ovviamente, bensì tutte) che, dopo aver preso le garanzie pubbliche, dovessero assumere atteggiamenti di rottura unilaterale ingiustificati. Da questo punto di vista, avere multinazionali con stabilimenti in Italia che si affidano alle garanzie dello Stato italiano nei confronti del settore bancario, è da considerare fattore positivo, perché aumenta la voce in capitolo dello Stato nelle relazioni industriali che le riguardano.

Allo stesso modo, la politica deve porsi il tema di una concreta vigilanza della effettività di quanto stabilito dalla lett. n) dell’art. 1 co. 2 del Dl Liquidità, ai sensi della quale “il finanziamento coperto dalla garanzie deve essere destinato a sostenere costi del personale, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali che siano localizzati in Italia, come documentato e attestato dal rappresentante legale dell’impresa beneficiaria”.

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