Cronaca

Dall'omicidio al patriarcato

Giulia Cecchettin, adesso ci avete stufato

Giulia Cecchettin © Suzy Hazelwood tramite Canva.com

Gira per i social una battuta che può sembrare crudele e invece è fondata: chi candidano prima, papà Gino o la sorella Elena? Sarà anche cinismo, ma comprensibile perché ampiamente suscitato da una esasperazione mediatica, consumistica, senza ritegno e senza senso.

Consumistica perché lo strazio della povera Giulia Cecchettin è stato usato, manipolato, gonfiato da tutti senza scrupolo e senza vergogna. Fino a fare del suo funerale un happening, coi maxischermi, le dirette, il conteggio dello share e otto, diecimila persone che non si accorgono di uscirne a loro volta mostrificate. A chi giova lo svilimento della vittima in cartone orrorifico? Alla politica certamente (chi candiderà prima il Pd? Papà Gino o sorella Giulia? E la nonna, la scrittrice, la manderanno a fare la presidente onoraria dell’Anpi?). Ai media, per evidenti quanto ignobili dinamiche. Ai cosiddetti artisti, che non hanno mancato una ribalta per ripetere le solite scempiaggini “mi vergogno di essere maschio”, “gli uomini sono tutti responsabili”, come se a parlare fossero, ma forse lo erano, dei celenterati.

Ma vergognati tu, ma sentiti tu responsabile di omicidio se ci tieni, ma non provare a tirare in ballo me (un me generico, collettivo), che una donna non la ho mai maltrattata e magari mi sono compromesso per difenderla. E c’era proprio bisogno di farsi vedere, come Chiara Ferragni, con il cartello “tutti dovrebbero essere femministi”? Era proprio necessario che la Rai tirasse in ballo quella caricatura di neorealismo del filmetto di Paola Cortellesi, un’altra che non ha perso una sola occasione e non si capiva più dove finiva la solidarietà e dove cominciava la autopromozione?

Ai propagandisti, gli ideologizzati, i fanatici e i falsi fanatici, i carrieristi, gli arrampicatori sociali che han trovato modo, e si torna sempre alla politica come ingaggio, come bene rifugio, di accreditarsi quali vestali e paladini della società neocomunista, collettivista, dove nessuno è responsabile di niente (dunque, che fine fa l’aguzzino, Filippo? Stando così le cose, gli diamo l’ergastolo e la Cayenna o lo salviamo perché neppure lui in fondo ha colpa? E se lo salviamo, se fingiamo di crederlo pazzo, se facciamo finta di prestare fede alle sue lagne, alle strategie difensive, dopo ci sarà ancora lecito sbavare all’impunità, al patriarcato, a tutte le baggianate insostenibili cui non crede per primo chi le alimenta?). Infine, alla sfilata di politici e vippetti a vario titolo, con tanto di messaggio alla nazione di Mattarella che in casi analoghi, ma per mano straniera, si guarda bene dall’aprire bocca.

Ne esce un quadro desolante oltre lo squallore. In effetti, è l’opposto, è che tutti sono responsabili di qualcosa. Tutti. Poi si può barare con se stessi, si può dire che “ciascuno elabora il lutto come può”, ma la verità è che è un ben strano modo di elaborare il lutto, e il dolore quello di sovraesporsi così, cercando, perché le cercano, le telecamere, i pulpiti. Potrà suonare urticante, ma i social di Elena sono alimentati meticolosamente, in modo ossessivo, forsennato, con una cura che neanche Chiara Ferragni medesima; e quel girare senza pace del padre, Gino, per università, per monumenti, per inaugurazioni, fino ad anticipare ai media la sua omelia funebre per la figlia? Sì che poi la gente comune, che ancora vivaddio conserva un senso dello sconcerto e perfino dello sgomento, non può non chiedersi: ma queste, sono reazioni normali?

E non lo sono. Lasciamo anche stare la nonna che ride, felice, incantata, e dice “avrei preferito non andasse come era deciso”, frase incredibile sulla quale è meglio non indagare. Lasciamo anche stare i genitori di lui che vanno in carcere e dicono “figlio mio non ti abbandono”, e ha appena ammesso una cosa disumana, più da Dario Argento o da Tarantino, di quelle che non si riescono a considerare reali.

Forse è vero: la nuova normalità è questa, è una normalità anormale, i media ci inzuppano il biscotto. Forse così, siamo di fronte ad una mutazione genetica della specie “sapiens” e, nei panni di questi, stritolati dalla sciagura, magari anche noi, che ci scriviamo sopra, che consumiamo immagini e parole, finiremmo per comportarci allo stesso modo. Quello che però spaventa, è la totale mancanza di misura, di limite. Il ministero dell’Istruzione, questo ministro Valditara catastrofico, che prima anche lui si incolpa di essere maschio, che considera il genere maschile fatto di potenziali serial killer come neanche la più cretina delle Non una di meno, che licenzia circolari per l’educazione sentimentale nelle scuole, roba da novello Flaubert, novello ma improponibile. Non contento di cotanta applicazione, adesso pretende, sull’onda della trovata del governatore veneto Zaia che l’omelia di papà Gino venga adottata come testo per le scuole “in considerazione dell’alto valore sociale e civile”.

State scherzando o cosa? Possibile che tanta demagogia non vi provochi un rigurgito? Allora vediamo cosa ha detto Gino Cecchettin già assurto a guru: “La scuola ha un ruolo fondamentale nella formazione dei nostri figli. Dobbiamo investire in programmi educativi che insegnino il rispetto reciproco, l’importanza delle relazioni sane e la capacità di gestire i conflitti in modo costruttivo per imparare ad affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza. La prevenzione della violenza (sic) inizia nelle famiglie, ma continua nelle aule scolastiche, e dobbiamo assicurarci che le scuole siano luoghi sicuri e inclusivi per tutti”. E una simile sequela di banalità in politichese, purissima aria fritta, la volete imporre come testo per gli studenti? Come se uno come Filippo Turetta, capace di ossessioni malsane, culminate in una ferocia da serie televisiva, potesse essere disinnescato da questi luoghi comuni che quelli come lui non capiscono, che accolgono con un ghigno e una scrollata di spalle.

Qui c’è proprio la tragica distanza tra la specie umana così nelle sue mutazioni, nella sua anormale normalità, e una politica che non riesce a coglierla, a capirla, che crede di salvarsi imbarcando i parenti delle vittime, che tuttavia non si negano, come burattini di un gioco più grande di loro, e ad un circo mediatico che sa benissimo come stanno le cose ma finge di non saperlo perché gli conviene così: nessun rischio e tutti a Sanremo. Vedrete che o Gino o Elena a Sanremo ci finiranno, tra Ama e Ciuri, fra un trapper e l’altro che vogliono “tagliare la gola alla mia puttana”. Gino Cecchettin si esprime già da politico e difatti lascia intuire di avere già maturato la decisione, ma non c’è discesa in campo senza qualcuno che te la proponga: chi lo candiderà prima, il Pd, Fratelli d’Italia, i grillini o la Lega?

Ma non dovrebbe andare così e francamente è difficile accettare tutto questo. Mettetela come volete, ma da una tragedia, quella di una ragazza semplice, che voleva solo laurearsi ed essere felice, la società nel suo complesso esce più dissociata e più miserabile di prima. Mettetela come volete, ma perfino i protagonisti di una storia così orribile sono arrivati a stufare, per esasperazione, per saturazione. Come se la sventurata Giulia fosse stata ammazzata una seconda volta, con milioni di coltellate, una per ogni sciacallo a vario titolo.

Adesso sappiamo il movente, la dinamica, il delirio, e, se ci è consentito dirlo, ma lo diciamo proprio in memoria di Giulia, le dirette, le miserie, il patriarcato, la società neocomunista da insufflare, il filmetto di Cortellesi, i mea culpa collettivi e bugiardi, il carosello dei parenti e dei congiunti, le schifose che su tictoc invitano all’autopsia di Giulia (si è visto anche questo), i servizi sulla cameretta ormai desolata di Giulia (si è trovato anche questo), hanno rotto le scatole. E invece, ancora una mutazione nel peggio, una disumanizzazione che ha del demoniaco, ce ne libereremo solo al prossimo massacro, beninteso per mano italiana, non migrante.

Max Del Papa, 8 dicembre 2023

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