Cosa accomuna Roberto Gualtieri, sindaco di Roma, ed Emanuele Orsini, presidente di Confindustria? Entrambi hanno dato fiducia e responsabilità a uomini che non remano come dovrebbero, confermando, loro malgrado, il celebre aforisma andreottiano: la gratitudine è il sentimento della vigilia. A farne le spese, ancora una volta, saranno però Roma e i romani. Due grandi istituzioni della Capitale — l’Auditorium Parco della Musica e l’università Luiss dedicata a Guido Carli — sono diventate terreno di un conflitto, per ora sottotraccia, ma che promette di deflagrare.
Ma inquadriamo meglio la vicenda: Gualtieri, romano, 58 anni, è stato eletto primo cittadino nell’ottobre 2021, succedendo alla grillina Virginia Raggi che oggi viene perfino rimpianta in alcuni ambienti; Orsini, pacioso e concreto modenese di 51 anni, ben visto tanto a Chigi così come dall’opposizione, è diventato presidente di Confindustria quasi un anno fa, grazie a una votazione plebiscitaria. Ma proprio i due blasonati sfidanti, Gozi e Garrone, che al tempo si fecero da parte, oggi stanno riorganizzando le truppe, magari per una rivincita per interposta persona, secondo la più consumata liturgia di viale dell’Astronomia.
Procediamo con ordine. Gualtieri, nel fervore post-elettorale e in perfetta tradizione comunista, ha puntato a fare tabula rasa del passato. Uno dei primi obiettivi è stato l’Auditorium Parco della Musica, fiore all’occhiello dell’intellighenzia rossa, da Veltroni a Bettini. A farne le spese, un grillino perbene, Daniele Pitteri, che aveva tenuto alto il profilo della struttura, frequentata da personalità come Sergio Mattarella e Gianni Letta. Nel risiko capitolino finisce anche Alessandro Onorato, laziale doc, considerato da tutti come il miglior assessore della giunta. Obiettivo dell’operazione: piazzare alla guida dell’Auditorium Raffaele Ranucci, 67 anni, figlio di un facoltoso costruttore e albergatore del litorale romano noto, secondo le leggende, anche per essere stato il proprietario dello Skagerrak, un veliero d’epoca commissionato dalla Marina tedesca durante il Terzo Reich e associato ad Adolf Hitler o a Joseph Goebbels.
Raffaele ex parlamentare, già amministratore dell’EUR, ha costruito una solida carriera nel sottobosco politico, sempre all’ombra di qualche “capataz”, strizzando l’occhio ai poteri forti. Una volta catapultato all’Auditorium, Ranucci – impeccabile in cachemire e fragranze d’alta gamma – inizia a coltivare ora ambizioni più alte: il Campidoglio. Al suo fianco, Andrea Cocco, transfugo di Nicola Zingaretti, un simpaticone con pancetta e qualche guaio, chiamato persino a coordinare il cerimoniale e gli affari istituzionali dell’Auditorium in un look da sabato pomeriggio: jeans, sneakers e aria trasandata alla Nanni Moretti. Il dinamico duo non perde tempo e comincia con i dispetti, anche agli amici che li hanno piazzati lì. Emblematico il caso della convention civica sostenuta da Onorato, alla quale Ranucci – invitato ufficialmente – non si è neanche presentato.
Il nuovo “reuccio” culturale di Roma ha già lanciato iniziative originali, come l’idea di trasformare l’Auditorium, la più grande area culturale di Roma, in un gigantesco open space, dove quest’estate si alterneranno musica elettronica e DJ set. Una sorta di Woodstock dei Parioli che ha già messo in allarme i comitati di quartiere, terrorizzati per il rumore, il degrado tra spazzatura e siringhe e il prevedibile caos. Il piano segreto? Raccogliere consensi tra i giovani, in vista di una futura campagna elettorale. E, come ogni uomo con ambizioni, anche lui si porta appresso da sempre la sua “zarina”: Marina Libonati, prezzemolina tuttofare e oggi impegnata anche nella gestione di una pompa di benzina.
Dall’Auditorium, passiamo all’altro fronte: la Luiss. Orsini, appena eletto con il 99,5 per cento presidente di Confindustria, si ritrova a fare i conti con alcune “nomine territoriali” che sembrano più atti di equilibrismo che scelte di merito. Il Lazio, la prima ad essersi schierata con lui – dopo la grande tradizione di Direttori Generali come Ignazio Cipolletta, Paolo Savona, Stefano Parisi e Maurizio Berretta – gli rifila come dg Maurizio Tarquini, un romano di 65 anni, senza le necessarie capacità manageriali e del resto noto finora solo nei piccoli giri del Grande Raccordo Anulare. In posizione apicale come vicepresidente all’organizzazione arriva dal Veneto Vincenzo Marinese, 57 anni, palermitano ma cresciuto professionalmente nel Nordest, dove aveva seguito il padre Lorenzo, immobiliarista poi segnato dal fallimento della Pia Guaraldo.
Marinese, vicinissimo al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro e oggi dato in grande avvicinamento a Tonino Gozi, ras della siderurgia e antagonista storico di Orsini, si occupa di ambiente. Il fratello Gian Lorenzo gestisce amorevolmente centri di accoglienza per immigrati. Ma il grande colpo di Marinese, che si prepara sotto traccia a sfidare Orsini nella prossima elezione partendo dalla Capitale, è stato imporre alla Luiss Rita Carisano, “capetta” confindustriale veneta, soprannominata dagli studenti “Lady Dior” per i suoi abiti griffati ed un “trucco e parrucco” sempre impeccabile. Nel giorno del suo debutto ha detto che la sua missione è di “sromanizzare” l’ateneo, facendo rabbrividire mostri sacri della Luiss come Franco Caltagirone e Paola Severino e far ridere i colleghi della Bocconi.
Il siculo-veneto, ricostruendo dal canto suo l’asse con Luigi Abete, che da sempre è il vero boss dell’ateneo, potrà sfruttare un centro di potere quale la Luiss, insieme a “Lady Dior”, trasformandolo in un trampolino per una candidatura personale. Pensa di farsi affiancare nell’avventura da un giornalista del Sole24 Ore con cui forma coppia fissa: Sebastiano Barisoni, anch’egli, guarda caso, veneto d’adozione. A completare il quadro, la nomina a presidente dell’Università di Giorgio Fossa, da Gallarate, ex numero uno di Confindustria nel secolo scorso che nel primo incontro con il corpo accademico ha dato l’impressione di essere ancora in fabbrica piuttosto che in un ateneo.
E dunque: Gualtieri e Orsini, abbastanza navigati, stimati e con buoni risultati, finiranno davvero col farsi mettere i piedi in testa dalle loro stesse “creature”? Non c’è più religione.
Luigi Bisignani per Il Tempo
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