I bilanci in rosso della Tesla figli del gretinismo

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Se un’azienda promette da dieci anni ai propri soci di vendere mezzo milione dei suoi prodotti, e ogni dodici mesi deve confessare che non raggiunge la metà dell’obiettivo, come la definireste? Fermi, non basta.

Se il fondatore della medesima società su Twitter un mese sì e l’altro no, dichiara di aver raggiunto risultati che non ha conseguito e per questo viene condannato dalle autorità finanziarie a pesanti multe, come la trattereste? Se sempre lo stesso gruppo, dopo aver già bruciato miliardi di dollari di aumenti di capitale, ne chiede nei giorni scorsi altri 2,3 miliardi, glieli dareste? E ancora se questo fenomeno, dopo essere stato già salvato da un intervento pubblico dieci anni fa, nell’ultimo trimestre è riuscito a perdere 700 milioni, ha venduto un terzo di quanto previsto, ha un debito di 10 miliardi di cui mezzo miliardo lo deve ripagare tra pochi mesi, vi chiedesse fiducia gliela dareste?

La risposta a queste domande che possono apparire retoriche è: sì, gli continueremo a dare fiducia. E il motivo è semplice: stiamo parlando di Tesla, la società fondata e diretta da Elon Musk, che produce auto elettriche. A questa azienda è permesso tutto.

Come tutte le vicende «green», ecologiche e gretine, non ci sono bilanci che tengano. Le macchine Tesla possono pure piacere a quei pochi privilegiati che riescono a comprarsele, per carità, ma quel che è certo è l’azienda che le produce è un orrore. È come se per lei si fossero fermate tutte le leggi del mercato.

Questa settimana, come abbiamo detto, ha deluso gli investitori con risultati ben al di sotto delle attese. In un trimestre ha venduto 63mila autoveicoli e dunque per mantenere le promesse in ognuno dei prossimi tre dovrebbe venderne 100mila, per raggiungere gli obiettivi fantasiosi promessi. Nel suo trimestre record, quello di fine 2018, ne ha piazzate 91mila, difficile pensare che possa fare altrettanto, dicono gli esperti del settore.

Ma anche se ci riuscisse, purtroppo per gli azionisti di Tesla, sarebbe una partita ancora da giocare. L’azienda non riesce a fare margini sufficienti. E il motivo è molto semplice. Il 40% del costo dell’ultimo modello è fatto dalle batterie, la cui tecnologia non sta evolvendo e la cui produzione non crea, anche superando un certo volume, alcun risparmio di scala. Il valore medio di un’auto acquistata negli Stati uniti è di 32.500 dollari, quella di una Model3 è di 42.900.

Si tratta di un giochetto di lusso. Per di più pagato dai contribuenti. Questo ovviamente vale per ogni incentivo. Ma quelli americani arrivati l’anno scorso a 7.500 dollari per chi comprasse un’auto elettrica stanno perdendo di efficacia: nel 2019 sono stati dimezzati e scenderanno a 1.875 dollari a fine anno. Troppo poco per convincere gli automobilisti a comprare un’auto elettrica, con minore autonomia di una vettura a benzina e decisamente più cara. Solo Musk riesce a dire che essa alla fine è più conveniente: soprattutto in un paese, come l’America, in cui il costo della benzina è ridotto.

Il caso di scuola per quanto riguarda la Tesla resta la piccola Norvegia: uno dei maggiori produttori di petrolio in Europa, che ha deciso di pulirsi la coscienza trasformando il suo parco auto in elettrico. Parliamo di un paese in cui tra le quattro auto più vendute, a marzo, c’è la Model X che costa 125mila euro. In Norvegia le tasse sulle auto a benzina le rendono più care che se consumassero spremuta di caviale: si calcola che esse raddoppino il costo dell’auto rispetto a quanto valga in Europa. Di converso ci sono sconti fiscali giganteschi per l’elettrico: non solo in termini di incentivi fiscali, ma anche di pedaggi e servizi. Insomma è come se i contribuenti norvegesi (più di 5mila Tesla comprate in un solo mese) foraggiassero la società americana con le loro tasse: contenti loro.

La morale è che non conviene mai mettersi contro il vento e il sole. Il mondo ha deciso che l’auto elettrica è il futuro e in suo nome si possono commettere tutte le nefandezze possibili, anche finanziarie. È una piccola derivata dell’ambientalismo gretino. La stessa religione che non legge i dati appena rilasciati dal centro studi Ces-Ifo di Monaco, per il quale la Mercedes c220diesel emette 141 grammi di anidride carbonica per ogni chilometro che percorre, contro i 155-180 riferibili alla tesla Model3, considerando ricariche e produzione batterie.

P.s. Il nostro collaboratore Franco Battaglia, docente di chimica fisica presso l’università di Modena ha accettato l’invito dell’on Carlo Giovanardi e del candidato a sindaco di Modena Luca Ghelfi a confrontarsi pubblicamente a Modena con i sostenitori del riscaldamento globale causato dall’attività umana. La sedia degli interlocutori è rimasta desolantemente vuota perché non soltanto tutti gli invitati di quella scuola di pensiero hanno rifiutato l’invito, ma anche perché allo stesso orario la CGL Scuola di Modena, invitata a partecipare, ha organizzato altrove un incontro sullo stesso tema con relatori schierati con Greta Thunberg senza alcun contraddittorio. Insomma siamo arrivati al punto che a personaggi come Antonino Zichichi, il premio Nobel Carlo Rubbia, Franco Prodi, e il professor Battaglia, illustri docenti universitari, si nega un dibattito su un argomento decisivo per il nostro futuro, poiché con loro non ci si confronta.

Nicola Porro, Il Giornale 4 maggio 2019

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