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Idee per salvare l’Italia dalla crisi

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Se lo spettro dell’inflazione aleggia sugli Stati Uniti, nemmeno l’Europa se la passa troppo bene. L’Italia, già prima dell’autunno, potrebbe essere messa in ginocchio dalla fine del blocco dei licenziamenti e dalla riduzione del potere di acquisto del ceto medio. Quello più colpito dagli effetti della pandemia, e dai suoi presunti rimedi.

Ma a preoccuparci – ancor più seriamente – dovrebbe essere un sondaggio commissionato dalla Fondazione Donat Cattin, e pubblicato lo scorso 15 marzo dall’Ansa, secondo cui il 51% dei nostri ragazzi non si immagina genitore. Tra questi, oltre il 31% stima che a 40 anni avrà un rapporto di coppia ma senza figli e un ulteriore 20% pensa di avere una vita da single. Pesano soprattutto la carenza di lavoro (87%), seguita dall’assenza di politiche adeguate per la famiglia (69%). Alcuni economisti e politologi hanno delineato scenari di ritorno all’austerity, con un mondo scosso da continue minacce pandemiche e crisi ambientali. Per fortuna, non tutti vedono il quadro globale così cupo: “Parto da una riflessione: l’obiettivo delle politiche monetarie e fiscali, attuate da tutti i governi per contrastare questo periodo pandemico, è ottenere esattamente quello che sta succedendo. Ovvero far ripartire la domanda aggregata e chiudere il gap di crescita che si è creato nel 2020, rispetto al reale potenziale di tutte le varie economie. Credo che la domanda di beni di consumo sarà la prima a riprendersi con la fine di questo periodo”.

A offrirci una boccata di ottimismo è un esperto del risparmio assicurato: il presidente del Fondo Pensione Agenti, Francesco Libutti. A cui abbiamo chiesto di delineare la sua visione del futuro – a breve e a medio termine – del Paese. Insieme a qualche consiglio per stimolare l’economia, vista la sua conoscenza dell’andamento dei mercati e della finanza internazionale. Ecco alcune delle sue proposte. Semplici da applicare e sostenibili. Basterebbe che qualcuno, al Mef, prestasse orecchio…

Usa, costi dei prodotti finanziari in aumento

Nonostante i recenti rincari del petrolio (dovuti a un attacco hacker al maxi-oleodotto Usa) e di tutte le materie prime, e con il varo del nuovo Piano di aiuti Covid da 1.900 miliardi licenziato a marzo dalla Casa Bianca, anche negli Stati Uniti “la politica monetaria espansiva non ha creato un’inflazione sui beni reali ma piuttosto su quelli finanziari. Quando si è verificata tutta questa immissione di liquidità, c’è stato un innalzamento dei costi dei prodotti finanziari, piuttosto che della vita reale”, commenta Libutti, “Un cambiamento delle politiche monetarie vorrebbe dire che le banche centrali ritengono superata la crisi legata alla pandemia e che si stia tornando a un regime di stabilità, sia dei prezzi dei prodotti finanziari che di quelli più speculativi.

Un rallentamento dell’iniezione di denaro nel mercato finanziario potrà essere un indicatore di questo ritorno alla normalità. C’è da notare che le famiglie statunitensi hanno accumulato depositi bancari pari al 60% del Pil, il doppio della norma. Ciò significa che con la fine di questo periodo, ci sarà un effetto elastico e sicuramente ci sarà un boom dei consumi. Subito dopo, a ruota, toccherà agli investimenti, alle infrastrutture e ai beni capitali”. Gli Stati Uniti sono un’economia trainante e ciò che accade oltreoceano, poi avviene da noi. “Secondo il Fondo monetario internazionale (Fmi) solo sul finire del 2022/2023 questo gap, tra come dovrebbe essere l’economia e come sarà, dovrebbe chiudersi. Anche qui ritengo che questa previsione riguardi prima gli Usa, e subito dopo l’Europa”.

Italia, niente panico inflazione

A fine marzo la disoccupazione in Italia era al 10% e l’utilizzo della capacità produttiva circa al 75%. “Stiamo chiamando rischio inflazionistico una crescita dei prezzi del 2,5/3% negli Usa e poco meno in Europa. Negli anni ’70 l’inflazione era a due cifre, forse è più corretto ritenere che una crescita dei prezzi tra il 2 e il 3% sia salutare per evitare di cadere in un processo deflattivo, e quindi nella stagnazione economica che ha sperimentato il Giappone negli ultimi vent’anni” è la valutazione del presidente del Fpa. Il potere di acquisto delle famiglie non dovrebbe subire scossoni ma tutto si giocherà sulla ripresa a pieno ritmo della catena di produzione.

“Con la disoccupazione al 4%, cioè ai minimi, potremmo temere uno scenario degli anni ’70 ma sinceramente credo che siamo molto lontani. Per parlare di un vero processo inflazionistico bisogna che le aspettative dei consumatori cambino rispetto a quelle che sono oggi. Se guardiamo ai mercati, l’inflazione implicita nei tassi di interesse prevista al 2031 è ancora più bassa di quella attesa nel 2026. Questo indicatore, a cui la Fed guarda sempre con enorme attenzione, ci dice che gli operatori ritengono le banche centrali in grado di controllare l’inflazione e che quella che viviamo è una semplice bolla di crescita dei prezzi, destinata a rientrare man mano che l’economia riparte. E questo varrà in tutti i Paesi”.

In Italia permane però un problema enorme: le regole del mercato del lavoro. “Da noi ogni due anni, al cambiare della maggioranza di governo, si fanno delle norme che smentiscono quelle precedenti. E l’instabilità del mercato del lavoro porta a un’incertezza generale che finisce per impattare anche sui consumi” è la valutazione di Libutti.

Una “pace fiscale” con lo Stato

Il costo del lavoro è l’unico dato che va tenuto sotto controllo e che potrebbe cambiare gli scenari che la Fed e l’Fmi in questo periodo hanno tratteggiato” spiega Libutti, che lancia una proposta a costo zero per rilanciare le imprese e salvare i posti di lavoro: “Le aziende in difficoltà sarebbero ben contente di tenersi i dipendenti nella misura in cui, con il ripartire dell’economia, fossero sollevate dal dover pagare tributi afferenti a un anno fa. Dopo un anno di fermo, si troverebbero a ripartire con una montagna di debiti e con l’impossibilità di mantenere la stessa catena produttiva o, nei casi peggiori, di rimanere in piedi. A tutte le imprese che investono realmente una parte delle tasse dovute allo Stato nelle assunzioni e nello sviluppo della propria azienda, dovrebbe essere garantita contrattualmente per 15 anni una pace fiscale con lo Stato.

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