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Il bluff del “governo dei migliori”

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I primi due aspetti che emergono a caldo giudicando la squadra di governo scelta da Mario Draghi, sono il carattere politico del nuovo esecutivo e la mancanza di discontinuità rispetto al Conte bis nella scelta dei ministri.

L’esecutivo a guida Draghi doveva nascere come il “governo dei migliori” ma è elevato il rischio che si trasformi in un governo gattopardesco fedele alla massima “tutto deve cambiare perché tutto resti come prima”. Dovendo accontentare i numerosi partiti della maggioranza, il neopresidente sembra aver adottato la sempreverde regola del manuale Cencelli con la presenza della politica preponderante rispetto a quella dei tecnici, anche alla luce di figure solo apparentemente tecniche come il neo ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi che in realtà è già stato assessore alla regione Emilia Romagna per Bonaccini.

Può darsi che la scelta di un esecutivo politico nasca per la volontà di Draghi di condividere con i partiti le responsabilità in un momento comunque complesso, ma è probabile una soluzione tecnica sarebbe stata più apprezzata. È altresì più che verosimile l’ipotesi i partiti abbiano imposto i propri uomini per garantire il sostegno in parlamento che in una repubblica parlamentare e non presidenziale come la nostra rimane imprescindibile.

Certo, alla luce della composizione del Consiglio dei Ministri, per Lega e Forza Italia l’adesione al governo comporta notevoli rischi poiché, al netto di una nomina di peso come Giorgetti allo sviluppo economico, l’esecutivo sembra sbilanciato a sinistra, basti pensare che ben nove ministri sono stati riconfermati dal Conte bis (Di Maio, Lamorgese, Guerini, D’Inca, Bonetti, Franceschini, Patuanelli, Dadone, Speranza).
Il rischio è che una figura di assoluto valore come Mario Draghi finisca impelagato nelle dinamiche partitiche, di certo ogni forza politica giocherà la sua partita per capitalizzare politicamente il consenso in vista delle elezioni che, al più tardi, si terranno tra due anni.

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