Politica

Il campo largo si scanna. Prodi: “Se volete perdere, fate pure”

La Basilicata mostra tutti i limiti di una coalizione litigiosa ancor prima di nascere

Prodi Schlein Conte (1) © Olena Kiyan tramite Canva.com

Peggio di così non poteva andare. Dopo la gioia per la vittoria in Sardegna, il miraggio unitario del centrosinistra trazione campo largo si è infranto sul muro dell’evidenza: tra localismi e antipatie dei leader nazionali, l’amore tra le numerose anime delle opposizioni alla destra non è mai sbocciato. Niente di niente. E così a 48 ore dalla “nomina” di Domenico Lacerenza come candidato in Basilicata, ecco che già si vocifera una marcia indietro.

Il veto del M5S ad Angelo Chiorazzo, suggerito da Roberto Speranza, e la porta sbattuta in faccia alle richieste di Carlo Calenda hanno fatto infuriare Azione che ora potrebbe addirittura guardare a destra, dove Antonio Tajani già allarga le braccia. Direte: embè? In realtà in Basilicata a fare il buono e il cattivo tempo delle preferenze è Marcello Pittella, ex presidente di regione dem, passato armi e bagagli ad Azione. Le sue 30mila preferenze e passa, insomma, fanno gola a molti. E di sicuro servirebbero come il pane a Lacerenza per provare a strappare la Regione a Vito Bardi, ex comandante delle Fiamme Gialle, candidato del centrodestra e governatore uscente. Se Pittella decidesse di correre da solo, o peggio ancora di spostarsi a destra, per il campo largo sarebbero guai.

L’impresa ora dopo ora sembra diventare sempre più complicata, complici le liti a livello nazionale e l’idea che il candidato sia stato un tantino calato dall’alto. Se Pittella decidesse di correre da solo, o peggio ancora di spostarsi a destra, per il campo largo sarebbero guai Il nome di Lacerenza ha creato non pochi malumori nel territorio e soprattutto nel Pd, spingendo Elly Schlein a prendersi qualche istante in più per riflettere. Lorenzo Guerini, uno che di mal di pancia per le posizioni in politica estera e non solo ne sta dimostrando parecchi, ha definito “incomprensibile” la scelta di escludere i centristi di Azione, soprattutto alla luce delle ultime dichiarazioni di Schlein che rivendicava di voler essere “testardamente unitari”. Stefano Bonaccini, leader dei riformisti dem, giusto un paio di giorni fa aveva invitato la segretaria a non spostare l’asse del Pd troppo a sinistra ma di guardare anche al centro. Invito respinto al mittente. “L’avevo sentita poco prima dell’annuncio e non si è neppure disturbata a comunicarmelo – lamenta Calenda, riferendosi a Elly – Ormai è chiaro che la leadership del centrosinistra ce l’ha il capo dei 5S. Ha messo un veto sulle forze riformiste, recepito dal Pd”.

I problemi per Schlein sono due. Per battere la destra servirebbe la coalizione più ampia possibile, ma Conte e Calenda (figuriamoci Renzi…) si escludono a vicenda. Se il Pd fosse costretto a scegliere, però, rischierebbe una debacle. Perché al Sud l’alleanza con i soli grillini può anche portare a risultati discreti, ma al Nord – dove il M5S non esiste – i dem rischiano di scontentare una fetta consistente di Paese. Viceversa senza grillini a livello nazionale non c’è speranza di spodestare Meloni. Senza contare, poi, che trasformarsi nella stampella di Conte può far storcere il naso agli elettori (e ai dirigenti) riformisti e moderati, che hanno ancora una grossa presa sulla Ditta.

Dilemma al momento senza grosse soluzioni. Conte ribadisce di non voler “lavorare con leader” il cui obiettivo “è distruggere il M5S”, cioè Calenda; il quale di rimando pensa più o meno la stessa cosa dell’ex premier. L’idillio sardo è già alle spalle. E lo certifica Prodi: “Se volete vincere dovete mettervi d’accordo, se volete perdere continuate così”.