Cronaca

Il “diritto all’eleganza” va a processo: i ‘Soumahoro’ rinviati a giudizio

La moglie, la suocera e i cognati del deputato con gli stivali (non coinvolto) sono accusati di bancarotta, frode e autoriciclaggio. Si inizia a giugno

soumahoro miglie suocera

Brutte notizie per la famiglia Soumahoro. Dopo lo scoppio dello scandalo sulle cooperative dei migranti, la moglie e la suocera del deputato ex Alleanza Verdi e Sinistra sono state rinviate a giudizio insieme agli altri indagati. Il Gup di Latina, Giulia Paolini, ha infatti accolto le richieste del pm Giuseppe Miliano: tutti i protagonisti della vicenda (Liliane MurekateteMarie Therese MukamitsindoMichel Rukundo e Aline Mutesi) inizieranno il processo il prossimo 11 giugno, quando è stata già fissata la prima udienza.

Le accuse di cui devono rispondere gli indagati vanno dalla bancarotta alla frode in pubbliche forniture, fino ad arrivare all’auto-riciclaggio. Parliamo di diversi milioni di euro che la famiglia Soumahoro, tramite le cooperative Karibù e Consorzio Aid, avrebbe ottenuto dalla Prefettura di Latina e da altri Enti per dedicarsi alle cure dei migranti e che invece sarebbero finiti da tutt’altra parte: beni di lusso, vestiti, borsette, cene in ristoranti e investimenti all’estero. Il tutto mentre i “compagni migranti”, per cui Aboubakar si è sempre speso, secondo le accuse rimanevano al freddo e senza i servizi promessi.  Insomma: il famoso “diritto all’eleganza“, che l’onorevole Soumahoro difese in diretta tv da Corrado Formigli, finisce a processo.

Breve passo indietro. Il caso esplode quando alcuni lavoratori delle coop denunciano di non essere stati pagati. Si parla di migliaia di euro finiti chissà dove e di prestazioni nei centri di accoglienza tutt’altro che a regola d’arte. Lo scandalo monta, pian piano, sia contro i familiari di Aboubakar sia contro lo stesso deputato, accusato – politicamente – di andare “in giro per l’Italia a combattere per i diritti dei braccianti” mentre sotto il suo naso alcuni lavoratori venivano lasciati senza retribuzione. Il caso diventa una slavina: Avs prima lo sospende e poi lo caccia dal gruppo, lui piange lacrime amare, quasi tutti lo mollano. Da nuovo volto della sinistra, idolatrato dai vari Zoro e Damilano, a reietto.

Intanto Marie Therese Mukamatsindo Liliane Murekatete il 30 ottobre finiscono ai domiciliari e il gip di Latina dispone anche un sequestro per quasi 2 milioni di euro. La Guardia di finanza avrebbe ricostruito numerose disposizioni bancarie “prive di congrua giustificazione causale e comunque per finalità diverse da quelle alle quali era preposta la Karibu”. In particolare, come scritto anche nell’ordinanza dal gip, le carte di credito delle coop sarebbero state usate anche per “finalità private (ristoranti, gioiellerie, centri estetici, abbigliamento, negozi di cosmetica)”.

L’avvocato Lorenzo Borrè, che difende Liliane Murekatete, rivendica però l’innocenza della sua assistita e si dice certo che tutto verrà chiarito durante il dibattimento: “Rimangono sul tavolo tutte le eccezioni che state fatte – dice all’Adnkronos – e che a nostro avviso non sono superate e che dovranno essere oggetto di accertamento in dibattimento, in primo luogo sulla effettiva sussistenza del ruolo di amministratrice della signora Murekatete e inoltre sulla effettiva sussistenza dei reati che le sono contestati”. La procura di Latina, tuttavia, non ha ancora finito di indagare. Questo è solo uno dei filoni aperti sul caso Karibù.

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