Il ministro dell’Istruzione? Scelto il primo che passa

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È da un po’ di anni che in tema di ministro all’Istruzione non ci smentiamo. Sono finiti i tempi in cui il dicastero era occupato da De Sanctis, Croce, Salvini (Giorgio, dico, il fisico allievo di Fermi), fino all’ultimo, di quel livello, che mi viene in mente: Tullio De Mauro. No, è da un po’ di tempo che la scelta pare che cada sul primo che passa per strada. Gli si chiede: cosa sai? Poco, risponde. Mmmhhh… No, mi correggo: non so niente. Ah, bene, allora sei il perfetto candidato. Quasi perfetto, per meglio dire: tra non sapere niente e sapere tutto è meglio la prima cosa, come ne era ben consapevole Lady Bracknell, la futura suocera dell’Ernest di Wilde, per chi rammenta l’esilarante commedia.

L’ultimo che senza saper nulla di nulla fu fatto ministro dell’Istruzione è quella dolce signora coi capelli rossi e ricci, che tanto segno ha lasciato che non mi sovviene neanche il nome. Sono però sicuro che il semantema del cognome faceva assonanza con Ernest, che si pronuncia come earnest, e che in inglese significa fedele (ragion per cui le donzelle della commedia si innamoravano solo di giovani con quel nome). Tornando a bomba, allora, per essere ministro all’Istruzione non basta non sapere nulla, ma bisogna anche che codesta circostanza sia detta bene. La signora di cui non rammento esattamente il nome la disse male, avendo millantato di sapere qualcosa, anziché vendere bene la propria ignoranza (ché l’ignoranza è sempre beata, e i beati sono ben visti in Paradiso).

Mutatis mutandis, il ministro attuale non sembra saper vendere la propria sapienza, e la cosa è un’aggravante. Per esempio, è Professore all’università di Pretoria. Che intanto è estero, cosa che in Italia fa sempre molto fico (e all’età di 65 anni non ho ancora capito perché). Però, nel ranking delle università del mondo, quella di Pretoria è al 438mo posto. Vabbè, sappiamo bene che ‘sti ranking non significano nulla, ma magari qualcosa significheranno. Per dire: la Sapienza di Roma è al 67mo posto, Milano al 148mo e Padova al 150mo. La stessa agenzia ti informa sul ranking in ordine alla qualità dei professori. La Sapienza di Roma è 34mo posto, la University of Pretoria è al posto 246mo. E per fortuna che ci stava il Nostro, sennò chissà in che posizione li avrebbero messi.

Ma abbiamo ben altre ragioni per sentirci orgogliosi del nostro neo ministro. Egli, a suo modo – a suo specialissimo modo – è un genio. Compenetrato nel proprio nuovo ruolo, ha sbroccolato un uovo che quello di Colombo, al confronto, fa la figura dell’uovo di un colibrì. Il nostro genio ha pensato: devo tutelare il bene degli studenti e, inoltre, devo trovare il denaro per assumere altri insegnanti, ché in Italia sembra scarseggino come la benzina per le auto della polizia. Eureka! – avrà detto fra sé e sé, consapevole della propria padronanza con l’economia. Sappiamo tutti che le merendine agli scolari fanno male e allora per scoraggiarli dall’insana pratica di consumarne una a ricreazione, io ministro pretendo sulle stesse una tassa (sennò mi dimetto). Poi, coi soldi raccolti dalla salutare tassa pago gli stipendi ad altri insegnanti.

Orpo, v’immaginate De Sanctis a snocciolare una tale perla? Io no. Ma mi chiedo: siccome le merendine non danno dipendenza come le sigarette, e siccome i nostri pargoli la merenda a ricreazione devono farla, sennò collassano all’ora di lezione successiva, e siccome poi il ministro saprà sicuramente essere convincente sul danno che fanno le merendine, gli studenti faranno merenda con qualcosa che non è chiamata merendina e che, a dir del ministro, male non fa. Centrato l’obiettivo sul fronte salutista, rimane il fatto che però piangerà di conseguenza il piatto delle tasse: niente consumo di merendine, niente ricavi dalle tasse, niente nuove assunzioni. Ma io d’economia non ci capisco.

Concludo con una domanda che non riesco a tenermi: caro ministro, ma perché la merendina fa male? Alle elementari nel cestello o nella tasca del grembiule, quello nero col colletto bianco e fiocco blu, mia mamma infilava un ciocorì o un buondì, e le mamme dei miei compagni non erano da meno. Eravamo tutti felici. A quel tempo l’avremmo odiata, come si diceva spensieratamente, a morte.

Ps: Mi dicono che lei ce l’ha anche con le bibite gassate: ma perché? E con gli aerei, e su questo concordo con lei: senza di essi magari lei sarebbe ancora a Pretoria.

Franco Battaglia, 27 settembre 2019

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