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Il Ponte Morandi insegna: la troppa burocrazia blocca il Paese

L’eccesso di regole rallentano i lavori e incoraggiano attività illecite

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A meno di due anni dal crollo del Ponte Morandi è stato completato il nuovo Ponte di Genova. Difficile salutare in festa la realizzazione dell’opera perché il trauma per le 43 vittime del disastro e la richiesta di giustizia delle famiglie impone sobrietà. Sui social spicca l’immagine dell’imponente viadotto ammantato dalle luci del Tricolore che emanano un sentimento di orgoglio nazionale, un messaggio di fiducia sulla possibilità di risollevarsi e di recuperare vigore morale dopo la caduta. Il ricongiungimento dei due lati della valle, che erano stati tranciati dal maledetto crollo, per il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti rappresenta il “simbolo di un’Italia che riparte”. La Lanterna di Genova è tornata a brillare sulla città e a diffondere una luce di rinnovata speranza, ma non dissipiamo il risultato in termini di best-practice procedurale che dovremmo replicare per altre infrastrutture.

Il Ponte Morandi è stato costruito in breve tempo, nell’insolita sollecitudine tempistica  per la consuetudine italica, perché si è derogato alla normativa vigente per snellire le procedure e velocizzare la durata di realizzazione. Se fosse stato osservato il Codice degli Appalti la ricostruzione del ponte sarebbe ancora in una fase embrionale di progettazione e ne potremmo al limite ammirare l’idea in un plastico che ne riproduce gli elementi architettonici. L’Italia per ripartire deve sbloccare i cantieri ma nella vigenza di capillari e minuziose normative e di linee guida vincolanti diventa ardito immaginare un’agevole azione di scongelamento degli investimenti strategici per il Paese. L’obiezione principale che viene formulata alla semplificazione delle procedure consiste nell’accusare le deroghe di attitudine a favorire la corruzione, ma è con l’attuale livello di complicazione burocratica che l’Italia registra fenomeni diffusi di depravazione pubblica che incidono negativamente sulla competitività dell’intero sistema. Gli episodi corruttivi potrebbero attecchire proprio in virtù di un eccesso di burocrazia che moltiplica le “tentazioni” del dazio per sbloccare o indirizzare una pratica.

Semplificare non significa dissimulare l’agire amministrativo che deve continuare a subordinarsi al principio della trasparenza, che è teleologicamente strumento di lotta alla corruzione. Snellire i procedimenti è un’esigenza inderogabile per ridurre la frammentarietà procedurale e ricondurre la responsabilità a soggetti identificabili su cui esercitare i relativi controlli di legittimità. L’inflazione normativa rappresenta il terreno fertile in cui prospera il coacervo burocratico, instaurando una sorta di dittatura cavillocratica in un delirio di regole che implica due effetti: paralizzare le opere e tentare di sbloccarle con la scorciatoia della corruzione. 

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