Il voto dei responsabili genera sciamani

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Quelli che parlano bene inviterebbero a guardare la “big picture”, ad allargare lo sguardo, a considerare non i singoli alberi ma l’intera foresta, a trovare connessioni non scontate tra cause ed effetti, a collegare e concatenare gli eventi.

E invece a me pare che molto spesso – a volte per ragioni di propaganda, altre volte, ancora più drammaticamente, per mancanza di consapevolezza – la prospettiva da cui politica e mainstream media analizzano i fatti sia ristretta, volta a sminuzzare tutto, a considerare il singolo episodio, senza una capacità di lettura d’insieme.

Un esempio? Guardate le reazioni maggioritarie tra politici e commentatori rispetto a due episodi recentissimi. Una settimana fa, comprensibilmente, è partita un’ondata di indignazione contro Jake lo Sciamano, il pittoresco protagonista della rivolta di Capitol Hill. Eppure, varcando l’Atlantico, gli stessi che inorridivano e si stracciavano le vesti (sempre a favore di telecamera) adesso sono tutti presi a esultare per i “responsabili” nostrani, e cioè – diciamolo – per l’orrido calciomercato politico che culminerà tra oggi e domani alla Camera e al Senato.

E nemmeno li sfiora la sensazione che proprio basse manovre politiche come questa producano gli “sciamani” (con e senza corna), cioè alimentino un disgusto di fette consistenti della popolazione verso le istituzioni e la politica.

È come se troppi avessero introiettato l’esigenza di gestire la vita istituzionale e la dimensione pubblica bypassando il consenso e il rapporto con gli elettori, evitando la fatica (a volte spossante e magari vana, mi rendo conto) di farsi capire dai cittadini, di tenere un filo che leghi demos e kratos.

Tutto sembra esaurirsi nella demonizzazione dell’effetto finale: il perfido Trump, i sovranisti volgari, gli haters sui social, le fake news, l’odio in rete, e via lanciando scomuniche e anatemi, senza tentare di capire prima di giudicare. E tutto in nome della presunta superiorità culturale, intellettuale e morale di chi pensa di poter dare pagelle agli altri, alla common people.

Temo che a sinistra (e forse non solo a sinistra) molti sottovalutino questo drammatico scollamento. Un numero crescente di elettori ritiene (a torto o a ragione) che il grosso del sistema politico tradizionale sia ormai l’equivalente di un “cartello”, di un mercato senza concorrenza, di un oligopolio gestito da uguali più o meno tacitamente associati. Proseguendo per questa via, le brutte sorprese sono più che mai dietro l’angolo. E non so se avremo il diritto di definirle “sorprese”.

Daniele Capezzone, 18 gennaio 2021

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