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In Iraq si festeggia il Natale. Da noi no

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“Il Natale sarà festa nazionale con cadenza annuale”. È una notizia unica e rara se si considera che arriva direttamente dall’Iraq. Alcuni giorni fa, il Parlamento di Baghdad con gioia e soddisfazione conferma, forse per la prima volta in questi termini, la presenza cristiana in un Paese che negli ultimi anni ha assistito ad un enorme emorragia di fedeli. Un vero e proprio esodo causato dalle persecuzioni islamiche.

La Chiesa cattolica irachena parla di una votazione storica, anche perché per la prima volta il Natale – che è una festa con un Festeggiato – non riguarderà solo i cristiani, ma tutti gli iracheni. E non si tratta più di un provvedimento temporaneo da rinnovare ogni anno, com’era fino a ieri.

Un paradosso Oriente-Occidente

Mentre l’Occidente sta cancellando il Natale, considerato non più come il giorno della nascita di Cristo, in Medio Oriente, in Paesi islamici, se ne afferma l’importanza. O quanto meno se ne riconosce la centralità.

Il 17 ottobre scorso il primate caldeo aveva incontrato il presidente della Repubblica, Barham Salih. Oltre alla situazione dei cristiani, il cardinale Sako aveva inoltrato al capo dello Stato la “richiesta ufficiale” di proclamare la nascita di Gesù una “festività per tutti”. Il via libera è arrivato prima del previsto, e così la comunità cristiana irachena ha ricevuto un importante riconoscimento dopo decenni di gravi attentati mirati e gravi violenze confessionali. Causando un esodo che ha ridotto di un terzo la popolazione dai primi anni duemila.

I cristiani tornati nella Piana di Ninive, dopo la fuga in massa nel 2014 dall’Isis, stanno ricostruendo quel che resta dei loro villaggi e delle chiese date in pasto alle fiamme dall’islam – come quella dell’Immacolata Concezione, oggi in fase di ricostruzione – cercando di consolidare, di nuovo, la loro identità ferita. Parliamo di una Paese vittima, da più di un decennio, di settarismo e corruzione, di ingiusto sequestro di proprietà pubbliche e private che, negli anni, ha colpito soprattutto i cristiani.

Nel 2018, il governo aveva approvato un emendamento alla Legge sulle festività nazionali, elevando, sempre in via temporanea, il Natale al rango di celebrazione pubblica per tutti i cittadini. La recente decisione del governo è, invece, una vera rivoluzione. Oltre che una lezione per l’Occidente.

Vietato dire “Gesù Cristo”

In Europa il Natale è solo, ormai, un periodo di vacanza. Al punto che in quasi tutti gli Stati dell’Unione è stato ribattezzato “festa dell’inverno”. “Gesù” è la parola più cancellata dalle recite e dalle canzoncine di Natale. In lungo e in largo è divisivo e intollerante chi vuole festeggiare il Natale facendo riferimento al Festeggiato, Gesù Cristo.

Quest’anno in Italia siamo tornati alla Baghdad dell’anno scorso. Quando la messa di mezzanotte venne annullata per “tutelare l’incolumità dei fedeli”. In Iraq si temevano gli attentati, da noi si temono i contagi.

Per la prima volta nella storia della civiltà cristiana, sarà un crimine festeggiare il Natale in famiglia. E da irresponsabili celebrare la messa a mezzanotte nella notte santa. Come nelle migliori trame distopiche sarà considerato immorale, delittuoso, poco civico trascorrere le festività natalizie nella sicurezza delle mura domestiche e in famiglia. Lo Stato italiano ha introdotto l’aggravante del tentato parricidio o nonnicidio se la festa, come dalla notte dei tempi, sarà presieduta dai nonni.

I ministri del Belpaese avevano pensato al numero gradito al governo di sei commensali (forse non hanno mai conosciuto una famiglia numerosa), ma anche agli sbirri alle porte. Il Pd avrebbe voluto mandarci la polizia in casa a Natale e a Capodanno per controllare, per arrestare pericolosi tombolieri o ancor più pericolose nonne addette alla frittura, per non parlare di zii e cugini ripiegati sui panettoni. Ma la cosa più inquietante del sogno proibito del nostro governo è che i poliziotti alla porta non ce li ritroveremo solo per una ragione: uno Stato colabrodo che non sarebbe stato capace di raggiungerci tutti a tavola. Altrimenti saremmo tornati a Berlino Est!

Come i clandestini

Il reato di clandestinità, revocato per gli immigrati clandestini, è tornato per il cenone dal settimo commensale e per le messe fuori tempo massimo.  Ci hanno detto che è più bello, santo e sentito il Natale da soli e senza celebrazioni eucaristiche.

In Italia, la famiglia e il Festeggiato, Gesù, sono diventati il pericoloso focolaio di infezioni, a Baghdad neanche a pensarci.

Da noi il tema sanitario prevale su tutto.

Al punto che in Italia s’è aperto il dibattito sull’origine storica e biblica della messa di mezzanotte. Sorvolando sul fatto che né la data né l’orario sono simbolici, è diventato surreale che in Italia, gli orari delle funzioni liturgiche le decida lo Stato. Come a Baghdad!

Mentre gli intellettuali da strapazzo ci fanno la morale, e ci raccontano che se un ministro liquida la faccenda sull’ora della nascita di Gesù è solo una sottigliezza banale, a noi vengono i brividi perché per la prima volta in Italia la libertà religiosa è a rischio. Insieme alla libertà della Chiesa.

Dice il Concordato, recepito dall’articolo 7 della Costituzione, che “la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica” (articolo 2). Ecco, allo Stato è chiesto di riconoscere questa realtà, e senza compromessi.

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