Irpef e casa, per gli italiani sarà un’altra stangata

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Sono circa 220 milioni (lo 0,12% del PIL) le maggiori entrate che, nelle stime del Draft Budgetary Plan approvato lo scorso lunedì notte dal Governo, deriveranno dal capitolo della legge di bilancio per il 2020 dedicato alla “revisione delle tax expenditures”.

Quattro sono gli interventi preannunciati a pagina 31 del DPB:

  • l’introduzione di una soglia di reddito oltre la quale l’agevolazione Irpef relativa a oneri detraibili al 19% si azzererebbe con gradualità, fatte salve le detrazioni per spese per interessi passivi sui mutui che resterebbero interamente spettanti a prescindere dal livello del reddito complessivo;
  • l’introduzione di una imposta di bollo di 2,4 euro per foglio per i certificati rilasciati da organi dell’autorità giudiziaria relativi alla materia penale;
  • l’innalzamento delle imposte ipotecaria e catastale da 50 a 150 euro (ciascuna) sui trasferimenti immobiliari che scontano l’imposta di registro con aliquota proporzionale, con contestuale riduzione da 200 a 150 euro (ciascuna) delle imposte ipotecaria e catastale e della stessa imposta di registro sui trasferimenti immobiliari che scontano l’imposta di registro in misura fissa;
  • la riduzione da 5,29 a 4 euro della soglia giornaliera fino a concorrenza della quale non costituiscono reddito imponibile per il lavoratore dipendente i buoni pasto erogati in formato cartaceo, con contestuale incremento da 7 a 8 euro della soglia giornaliera fino a concorrenza della quale non costituiscono reddito imponibile per il lavoratore dipendente i buoni pasto erogati in formato elettronico.

Quest’ultima misura evidenzia come, nella strategia del governo, l’incentivazione del formato elettronico non riguarda soltanto la moneta (per la quale sono stati “accantonati” 3 miliardi destinati a finanziare i meccanismi di c.d. “cashback”), ma anche i buoni pasto erogati ai dipendenti.

Per quanto riguarda l’omogeneizzazione a 150 euro della somma dovuta per ciascuna delle imposte ipotecaria, catastale e di registro, quando dovute in misura fissa e non in misura proporzionale, la misura si traduce in sostanza:

  • in un aggravio fiscale di 200 euro per i trasferimenti immobiliari in cui il cedente non è un imprenditore, nonché per quei trasferimenti immobiliari in cui il cedente è una impresa, ma l’operazione avviene senza applicazione dell’Iva, perché fuori campo o esente (è il caso, ad esempio dei trasferimenti di immobili abitativi da parte di imprese che non li hanno costruiti o ristrutturati);
  • in un risparmio fiscale di 150 euro per i trasferimenti immobiliari in cui il cedente è una impresa e l’operazione avviene con applicazione dell’Iva, perché imponibile.

Più indeterminato è il tema della revisione delle detrazioni Irpef al 19% (escluse quelle relative a spese per interessi su mutui), perché il Dpb lascia indeterminata la soglia di reddito a partire dalla quale scatta la progressiva riduzione della detrazione spettante fino al suo completo azzeramento.

A tale proposito, il Viceministro all’Economia, Antonio Misiani, ha dichiarato nella giornata di ieri che la stretta sulle detrazioni fiscali avrà un “impatto solo sull’1% dei contribuenti e riguarderà i redditi oltre i 120mila euro l’anno, con un andamento progressivo fino a 240 mila euro”.

Numeri alla mano delle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2018 per l’anno 2017 (ultime in ordine di tempo di cui sono disponibili le relative statistiche), un meccanismo decrescente a partire da 120.000 euro, con totale azzeramento a partire da 240.000 euro, applicato su tutte le detrazioni al 19%, escluse quelle per spese per interessi passivi su mutui, genererebbe maggiori entrate per l’Erario nella misura di 84 milioni, di cui ben 57 riconducibili al taglio della detrazione per spese mediche (e d’altro canto le uniche detrazioni al 19% che cubano volumi consistenti a livello aggregato sono proprio quelle per spese mediche e per interessi passivi). A subirlo sarebbero circa 250.000 contribuenti, con un aggravio medio, dunque, di 336 euro.

Meno dell’1% dei contribuenti, certo, ma proprio quell’1% di contribuenti che paga da solo il 15,3% dell’Irpef, in un Paese apparentemente incapace di trovare una ragionevole via di mezzo tra immaginifiche proposte estreme di flat tax e una declinazione a tratti espropriativa del principio della progressività.

Enrico Zanetti, 19 ottobre 2019

www.eutekne.info

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