Cronaca

Islam, la piaga delle nozze forzate che le femministe non vedono

Dal caso Saman a quello di Mithila, la 15enne che si è tolta la vita. Il padre indagato per istigazione al suicidio

Saman islam

Nei giorni in cui si ricordava l’omicidio di Saman Abbas, per via della seconda sessione della testimonianza del fratello al processo, si è consumata una tragedia che ha riacceso l’ombra del matrimonio combinato. Si tratta di Mithila, la quindicenne che, lunedì 30 ottobre, poco prima di cena, si è affacciata dal terzo piano, a 10 metri dal suolo, con un solo obiettivo: farla finita. Morendo dopo tre giorni di agonia. La ragazza viveva coi genitori, il fratello e la famiglia della sorella, sposata e con due bambini, in una palazzina in via Capodistria.

Un gesto estremo, commesso senza lasciare nessun biglietto, nessun post sui social ma le parole di un’assistente sociale hanno iniziato a far luce sulla tragedia: “Era preoccupatissima perché i genitori, musulmani, la volevano portare in Bangladesh per tre mesi. Aveva paura di non terminare l’anno scolastico». Ma non è finita qui, secondo la testimonianza chiave, Mithila avrebbe confidato che la famiglia aveva già combinato le sue nozze con un connazionale, un uomo che a lei era completamente estraneo. Al punto che, il giorno dopo il suicidio, la ragazzina si sarebbe dovuta sottoporre a una visita ginecologica, forse richiesta dai parenti del promesso sposo a «garanzia» che fosse illibata.

Una visita che angosciava Mithila, come è emerso da insegnanti e compagne di scuola. Dall’autopsia è emerso che la ragazzina è morta per trauma cranico dopo la caduta, non è invece trapelato nulla per quanto concerne la presunta gravidanza. Nel mentre sono stati sequestrati sia il suo cellulare che il diario di scuola, procedendo all’ ascolto di docenti e alunni dell’Istituto professionale. La Procura indaga il padre per istigazione al suicidio. A difendere quest’ ultimo è il fratello della ragazzina: «Mithila era libera di fare quello che voleva, non siamo una famiglia rigida. Il viaggio in Bangladesh? Non era stata ancora fissata la data e non era obbligata».

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Parole che stonano, e parecchio, con la versione dei vicini che parlano liti continue «Non voleva portare il velo», come è stato riportato da qualcuno. Infatti, la ragazzina lo indossava solo in presenza del padre. A smentire queste voci è Nahid Nazmul Ahmed, referente della comunità bengalese di Ancona, che conosceva la famiglia, considerandola non integralista sulle nozze: “La sorella maggiore ha scelto lei il marito, un matrimonio da ’innamorata’ – ha spiegato Nahid –: non esiste il matrimonio combinato in questa famiglia. Anche il fratello è sposato e ha fatto una scelta d’amore”.

Il fratello la ricorda come libera e felice. “Non sappiamo nemmeno noi cosa sia successo – ha detto a cerimonia finita – e cerchiamo la verità. Troppe cose che leggiamo ci stanno ferendo. La procura indaga sì, ma poi bisogna vedere se è vero quello che dicono”. Tante voci ma una sola certezza: il suicidio di una ragazzina di soli 15 anni. Mentre un fratello ricorda la sorella defunta, il fratello di Saman Abbas ha fatto emergere dei dettagli macabri sulle angherie a cui era sottoposta la sorella. Una testimonianza dalla quale emerge che la madre di Saman Abbas, la sola latitante tra tutti i famigliari rinviati a giudizio, aveva chiamato la figlia prostituta perché si era fatta bionda. “Saman si è fatta bionda e la mamma l’ha chiamata prostituta”. Quella stessa madre che la diciottenne aveva difeso dalle botte del padre.

Saman sembra averle provate tutte per sfuggire alle regole famigliari, rivolgendosi alla fine anche alla legge italiana. Il fratello in aula chiarisce che non è più come loro “una volta ero come loro”. “Loro”, ossia quella famiglia che, nonostante vivesse da anni in Italia, non si era mai integrata e il barbaro omicidio della figlia è stata solo la punta dell’iceberg di maltrattamenti e ingiustizie subite dalla ragazza. Una diciottenne, alla quale, proprio perché donna, erano stati preclusi molti diritti, come poter studiare a scuola o avere una vita sociale con le coetanee, cose che invece al fratello erano concesse, ovviamente perché maschio e quindi nato dalla parte giusta.

Mancate integrazioni che, purtroppo, non rappresentano dei casi isolati. Basti pensare quanto è successo lo scorso aprile, a Modena, dove una ragazza indiana è stata picchiata perché si era rifiutata al matrimonio combinato. Aggredita con estrema violenza e minacciata di morte, a salvarla è stata la confessione fatta all’insegnante. Oggi è al sicuro, in un centro protetto e la famiglia dovrà rispondere delle accuse di maltrattamento.

Lo scorso maggio, invece, a Reggio Emilia, una ragazza tunisina ha raccontato in aula il dramma della sua adolescenza: “Mi costringevano a seguire una religione in cui non credevo”. Picchiata per dieci anni dal padre e minacciata di morte, mentre sua madre interveniva solo nei casi più gravi, “ma accettava la situazione”. Vicende ancor più agghiaccianti se si riflette sul fatto che, mentre queste piccole eroine lottano a costo della stessa vita contro una cultura misogina, l’Italia, ossia lo Stato nel quale si dovrebbero integrare, cancella la sua cultura per non urtare una mentalità che nulla c’entra coi valori occidentali. Quei valori dove la donna è soggetto di diritto e non oggetto.

Nemes Sicari, 10 novembre 2023