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La Bonino ridotta al narcoconformismo

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Va dato atto ai radicali come Emma Bonino di aver intuito con anticipo, già negli anni Settanta del secolo scorso, ciò che sarebbe diventata la sinistra. In verità, più che intuito, e con altra profondità e altro spessore umano, lo aveva teorizzato, in quello stesso periodo, un grande filosofo cattolico, Augusto Del Noce: un partito radicale di massa. Le masse, nel frattempo, sono sparite, e comunque non guardano certo più a sinistra, ma la metamorfosi c’è stata tutta. E non è quindi da stupirsi se Emma, che nel frattempo ha fondato un suo partito sorosiano, sia diventata un po’ l’idolo della sinistra nostrana in cerca di un’identità e del senso perduto. La sinistra ha sostituito infatti alle battaglie contro il capitalismo quelle per l’affermazione dei cosiddetti “diritti”, o comunque “identitarie” e ad alto e quasi esclusivo valore simbolico.

Quella per la legalizzazione della cannabis è un evergreen: funziona sempre nel piccolo target di riferimento, che è per lo più composto di ultrasettantenni rimasti all’epoca della loro giovinezza, quando “farsi una canna” era un atto di ribellione e liberazione simbolica, appunto, dalla generazione dei padri. Fa quindi una certa tenerezza vedere il video diffuso ieri dalla ex leader radicale, e oggi del mini partito che con indubbio coraggio o spregio del ridicolo (fate voi) si fa chiamare “più Europa”. In esso la Emma nazionale si è fatta riprendere intenta, sul terrazzo di casa, a piantare un seme di cannabis in un vaso per aderire a una delle tante campagne che da trent’anni a questa parte vengono promosse per la depenalizzazione delle cosiddette “droghe leggere”.

Le pochi frasi a commento sono poi alquanto surreali: “Questo è un semino di cannabis – dice la Bonino – che ho deciso di piantare in perfetta obbedienza civile alla sentenza della Corte che appunto ammette la coltivazione per uso personale… speriamo che nasca, gli mettiamo un po’ d’acqua e poi vi aggiorno. – io coltivo e voi?”. Le parole sono surreali per due motivi principalmente: uno, perché le battaglie dei radicali erano un tempo di “disobbedienza civile”, secondo la nobile tradizione di Gandhi o in Italia di Capitini, e una campagna di “obbedienza civile” è un ossimoro o un non senso; due, perché se io non faccio uso personale di una sostanza, come subito dopo la Bonino si è affrettata a precisare, che necessità ho di coltivarla? La coltivo e poi la distruggo, così come passatempo? Non è allora meglio coltivare la menta o dei pomodorini? Che sia una battaglia simbolica è evidente, mentre direi che non è affatto “di tutta evidenza”, come vorrebbe Bonino, che la cannabis “fin quando rimane proibita aiuta solo le mafie… come aveva capito pure mia mamma che non era laureata a Boston”.

In effetti, le opinioni sia degli scienziati sia di chi per mestiere combatte le mafie, non sono affatto così univoche e sicure come quelle di mamma Bonino, basti pensare solo a quanto ha più volte argomentato un magistrato à la page come Nicola Gratteri. E, in ogni caso, bastano due banali considerazioni per smontare la tesi: da una parte, quella per cui un’organizzazione criminale non ha difficoltà a riciclarsi visto che per principio ha un’infinità di modelli di business a disposizione; dall’altra, che i giovani oggi, che non hanno esigenze simboliche di tipo politico, usano alternativamente “droghe leggere”, “pesanti” e “miscugli” vari che vivono come un’occasione di sballo indifferentemente (la storia dei due ragazzi di Terni morti l’altra notte in sonno dopo una “serata brava” è esemplare da questo punto di vista).

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