Esteri

La mossa di Mosca su Zelensky. E ora incombe la Cina - Seconda parte

L’apertura della Russia a Kiev: “Non vogliamo rovesciare il governo”. Bombe su Mariupol

Molti analisti internazionali credono che lo Zar non possa in alcun modo “perdere” questa guerra. E che stia cercando la vittoria totale. Eppure, dopo le resistenze ucraine sul campo, alcune posizioni del Cremlino si sono ammorbidite. Se dieci giorni fa Putin non era disposto neppure a parlare con il “governo di neonazisti e drogati” di Zelensky, oggi la portavoce del ministro degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha fatto sapere che in realtà Mosca non vuole “rovesciare” l’esecutivo di Kiev. Una mossa che permetterebbe a Zelensky (o chi per lui) al potere. L’obiettivo della Russia oggi sarebbe quello di “porre fine all’insensato spargimento di sangue e alla resistenza delle forze armate ucraine il prima possibile”. I negoziati fanno “progressi”, assicura Mosca, ma su alcuni punti Putin non intende fare passi indietro. Primo: il riconoscimento delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk come “Stati sovrani e indipendenti”. Secondo: l’accettazione della Crimea come territorio russo. Terzo: la neutralità dell’Ucraina.

Ieri il presidente ucraino Zelensky si era mostrato possibilista. Ha aperto a trattative su Donbass e Crimea, rivelando di aver “raffreddato” la sua volontà di portare Kiev tra i partner della Nato, forse anche “deluso” dalla mancata “no fly zone” (l’invio di jet polacchi tramite gli Usa è stata per ora scartata da Washington). Una apertura a Mosca non indifferente, che però bisognerà valutare al tavolo dei negoziati. Pare che i consiglieri ucraini siano al lavoro per trovare una “formula” adeguata, forse più sul modello “Austria” che su quello della Finlandia: Kiev potrebbe inserire la neutralità in Costituzione, mantenendo l’indipendenza.

È presto, ovviamente, per parlare di “soluzione”. Perché intanto in Ucraina si muore. E tra le parti la fiducia è ovviamente ai minimi termini. Igor Zhovkva, vice capo dell’ufficio Zelensky, ha chiesto infatti a Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania della “garanzie di sicurezza”. Non fidandosi di quelle che può garantire la sola Federazione Russa.

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