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La moss(ett)a di Prodi per candidarsi al Quirinale

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Se vuoi avere una chance nella partita per il Quirinale, scrivi un libro. Potrebbe essere questo il refrain del momento. All’intensa attività editoriale di Walter Veltroni, che all’immagine del saggio “padre della Patria” è arrivato un po’ tardi, dopo una carriera di figurine Panini ed emozioni da non interrompere con uno spot pubblicitario, risponde ora Romano Prodi, che invece a quel ruolo si sente tagliato da un bel po’. E che proprio oggi esce per i tipi di Solferino (cioè di quell’Umberto Cairo sempre più apertamente schierato a sinistra) con un libro-intervista con Mario Ascione dal sapore autobiografico e celebrativo: Strana vita, la mia. Ovviamente, il “professore”, come viene comunemente chiamato nella sua Bologna, e non solo, si schernisce, si mostra disinteressato, dice di non avere più l’età. Fa parte del gioco.

In verità, nel suo riproporsi c’è un desiderio di rivincita dopo la clamorosa bocciatura della volta sorsa e, soprattutto, un curriculum di tutto rispetto che forse non ha eguali: presidente dell’Iri, del Consiglio, della Commissione europea. Poco conta tutto questo in verità, se è vero come è vero che poi al Quirinale sono ascesi in passato politici anche di non primissimo piano come, in qualche modo, lo stesso Mattarella. I maligni, cioè coloro che pensano male ma che spesso ci azzeccano, per usare un’espressione di quel Giulio Andreotti che il Quirinale tentò di agguantare più volte invano; i maligni, dicevo, dicono che Enrico Letta segretario del Pd sia per Prodi una garanzia. Non che egli si impegnerà esplicitamente per candidarlo, che significherebbe tagliargli subito le gambe considerata anche la divisività della sua figura. Ma certo, tuttavia, farà di tutto per approfittare in suo favore di ogni pur piccola finestra di opportunità che dovesse aprirsi in una partita a scacchi ove, come suol dirsi, chi entra papa rischia di uscirne semplice cardinale. E sarà proprio Letta, solo soletto, a presentargli a Roma il libro lunedì prossimo.

Soprattutto il segretario del Pd, che “professore” è stato per modo di dire (credo che a Parigi pensasse solo a come rientrare nell’italico gioco politico), ha già cominciato a preparare il terreno a quello che resta comunque il suo maestro. Nel discorso di domenica a chiusura della Festa dell’Unità a Bologna ha infatti schierato con nettezza il suo partito per un proseguimento di Draghi a Palazzo Chigi fino alla fine della legislatura. Una eventualità che, unita alla volontà espressa da Sergio Mattarella di non puntare a un secondo mandato (ovviamente anch’essa tutta da verificare), apre per intanto il terreno alla possibilità dell’elezione di un terzo nome oltre quello dei due contendenti massimi.

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