Cultura, tv e spettacoli

La mostra sui “Censurati”, il nudo che si oppone al politically correct

Nudo e censura nell’arte italiana d’oggi. Al Vittoriale fino al 3 marzo 2023

“I Censurati” è mostra di urgente attualità: espone i nudi recenti, censurati o comunque censurabili, dei migliori artisti italiani viventi che si sono cimentati con tale classicissimo genere. Ospitata dal Vittoriale, è irresistibile la tentazione di immaginare cosa ne avrebbe pensato D’Annunzio. Gli sarebbe piaciuta, ne sono certo, perché questa è l’arte del Piacere in contrapposizione al moralismo dilagante non soltanto nei social ma nella società tutta. Una rassegna di pittura carnale da porsi sotto l’usbergo del poeta che cantò la “voluttà senza misura”.

Nessuno dei deliziosi capezzoli visibili in questa mostra e riprodotti sul catalogo edito da Liberilibri potrebbe essere pubblicato sui social senza pecette (peraltro non sempre sufficienti per scampare alla mannaia). Tutti gli autori di tali artistiche tette hanno subito negli ultimi anni la censura di Facebook e/o di Instagram. Venendo bannati o sospesi o magari soltanto dissuasi dal ripostare nudi con formule standard di feroce ipocrisia. In qualche caso è stato impedito loro di promuoversi, un grosso guaio quando il sistema dell’arte italiana langue e ogni artista deve ingegnarsi a fare il gallerista di sé stesso.

Spesso mi chiedono i motivi del nuovo oscurantismo. Devo pure trovare la causa? Non basta additare l’effetto? Un motivo esiste sempre e se c’è una reazione che mi fa innervosire è quella che contiene la parola “assurdo”. Il bavaglio agli artisti sarebbe stato assurdo negli Ottanta o nei Sessanta. Adesso il bavaglio è coerente con lo Zeitgeist. Viviamo nell’Età del Divieto come può capire chiunque sia capace di sommare, fra geopolitica e religione, Cina, Covid, Gaia, Sodoma e Maometto, e di moltiplicare il risultato per l’Algoritmo Americano. Per cavarmi d’impaccio mi capita di citare il puritanesimo, facendomi innervosire da solo. Siccome è troppo facile incolpare dei fanatici del Cinque-Seicento per qualcosa che accade oggi. Sebbene costoro ce l’avessero davvero con le immagini, tutte, anche con quelle più caste: dalle chiese tiravano giù perfino le croci. Quella italiana è tutta un’altra storia: senza contare le Veneri preistoriche e greco-romane, e le Madonne del Latte medievali, abbiamo avuto una cosa che si chiama Rinascimento e che si tradusse in una strepitosa rinascita del nudo. Il vertice scultoreo della tetta rinascimentale lo identifico in due delle statue scolpite da Michelangelo per la Sacrestia Nuova di San Lorenzo: la Aurora e la Notte. Sottolineo la parola sacrestia, l’ambiente dove ci si prepara per celebrare la messa, giusto per ricordare quanto maggiore fosse l’amore per l’arte e per la carne provato dai cattolici del Sedicesimo secolo rispetto ai californiani del Ventunesimo.

L’origine americana del fenomeno mi spinge a interpellare Nicola Verlato, uno dei nostri artisti più internazionali, che in America ha vissuto a lungo: “Questo desiderio di cancellazione della figura nuda, assimilata immediatamente alla pornografia, nasconde la cancellazione dell’unica radice culturale che ha fatto del nudo l’epicentro della sua visione: la radice greco-romana. Ciò avviene da parte di culture radicate, anche inconsapevolmente, nell’iconoclastia del monoteismo non ibridato con il paganesimo antico”. In parole povere: l’algoritmo è protestante, non cattolico. È puritano, non vaticano. Come dimostra il fatto che il meraviglioso aforisma con cui concludo proviene da una penna papista, quella di Nicolás Gómez Dávila: “Un corpo nudo risolve tutti i problemi dell’universo” (visitando la mostra ne converrete).

Camillo Langone, 23 settembre 2023

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