Cultura, tv e spettacoli

“La polizia uccide”. La sceneggiata di Raimo che vuole disarmare gli agenti

L’intellettuale a Piazzapulita srotola l’elenco dei presunti “omicidi” dal Dopoguerra. Ma dimentica di citare i poliziotti uccisi

christian raimo polizia

In Italia, la divisione politica si fa sentire con sempre maggiore intensità nella vita di tutti i giorni, toccando non soltanto l’ambito politico in senso stretto ma anche il rapporto tra i cittadini e le forze dell’ordine. Questo scenario vede un linguaggio politico sempre più polarizzato, con alcuni gruppi, in particolare quelli di estrema sinistra, che sembrano impegnati in una campagna volta a mettere in discussione la legittimità delle forze dell’ordine attraverso critiche continue all’operato di poliziotti e carabinieri sul territorio nazionale, alimentando così dibattiti e controversie in un contesto già di per sé complesso.

Alla radice di questa tendenza vi è un’interpretazione sul ruolo della polizia che non la vede più come garante di sicurezza e ordine pubblico, ma piuttosto come simbolo di oppressione. Tale visione è promossa e diffusa in diversi ambiti, spesso con il sostegno di esponenti e intellettuali dell’ultra-sinistra. Tra questi, si distingue Christian Raimo che ha attirato l’attenzione per le sue critiche pubbliche all’operato delle forze dell’ordine.

Un suo intervento durante il programma televisivo Piazzapulita, su La7, in cui ha presentato un elenco di individui considerati vittime di omicidi da parte della polizia a partire dal 1948, ha sollevato polemiche e suscitato reazioni di vario tipo. L’inclusione in tale lista di persone coinvolte in contesti di protesta o manifestazioni, spesso contrassegnati da tensioni con le forze dell’ordine, ha portato ad accuse di una rappresentazione parziale e selettiva degli eventi. Particolarmente controversa è stata la menzione di Carlo Giuliani, inserito tra le vittime nonostante il suo tentativo di assalto a una camionetta dei carabinieri durante il G7 di Genova.

La narrazione proposta da Raimo e da simili figure punta i riflettori unicamente sull’agire delle forze dell’ordine, trascurando le circostanze contestuali degli scontri e le responsabilità degli agitatori. Questo approccio rischia di dipingere una realtà distorta, in cui i manifestanti sono sempre gli innocenti e gli agenti i soli artefici di violenza, ignorando la complessità delle dinamiche di protesta, in cui la violenza può essere promossa o esercitata da entrambe le parti. E poi bisogna anche far notare che gran parte di quell’elenco, almeno da quanto si riesce a ricostruire dalle immagini, risale agli anni subito successivi alla guerra o al periodo tragico degli anni di piombo. Le forze dell’ordine di oggi non si sono macchiate di una sequela infinita di crimini orrendi: sostenere che l’intero reparto odierno della polizia è composto di assassini sarebbe illogico, oltre che offensivo. Generalizzare eventuali errori personali, che possono esistere come in tutte le istituzioni, è ingiusto. O dobbiamo presentare l’elenco di tutti i poliziotti feriti in servizio e criminalizzare così tutti i collettivi, gli antagonisti e manifestanti che scendono in piazza?

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