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La tragedia del piccolo Leonardo, di chi sono le colpe

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Un bimbo di venti mesi letteralmente ammazzato di botte: fratture al bacino e alle mandibole, lividi ed ematomi ovunque, il viso sfigurato, un orecchio gonfio per i colpi subiti. Lesioni in tutto il corpicino, dal torace ai genitali. A furia di percosse, lo schiacciamento del fegato, che avrebbe portato – infine – alla morte.

È la scioccante vicenda del piccolo Leonardo, a Novara, che ha determinato l’arresto della madre, Gaia Russo (22 anni, ora nuovamente incinta al quinto mese), e del primo responsabile – sembra ormai acclarato – delle violenze, cioè il compagno di Gaia e padre dell’altro bimbo che sta per nascere, Nicolas Musi (23 anni). Il “record” di quest’ultimo parla purtroppo chiaro: precedenti per furto, violenza sessuale, truffa, maltrattamenti in famiglia, droga, percosse.

È una storia che lascia storditi dal dolore, muti, nauseati. Va bene, abbiamo tutti frequentato la tragedia greca e quella shakespeariana, sappiamo che la natura umana è esposta a vette e abissi, alla santità e all’abiezione. Eppure, la possibilità di accanirsi su un bimbo di un anno e otto mesi sembra davvero superare ogni limite.

Occhio alle reazioni mediatiche, però. Da trentasei ore, tv e giornali hanno “convocato” alla bisogna “esperti”, psicologi, sociologi, e così via. Ed è partito il solito trenino: colpa della società, colpa dei servizi sociali, colpa degli assistenti sociali, colpa del contesto, colpa dell’ambiente, colpa nostra, colpa vostra, colpa di nessuno.

Ecco, forse sarebbe il caso di fermare quel trenino di chiacchiere in qualche stazione. E di riaffermare – da liberali – il principio della responsabilità personale, e non solo sul piano penale, com’è ovvio. Per prima cosa, si rifletta su quell’uomo e su quella donna. Non lo dico per furia giustizialista, figurarsi: abbiano un giusto processo anche loro. Ma occorre ripartire da qui, dalla responsabilità personale, per respingere il tic che porta sempre a guardare da qualche altra parte, allo stato, alla società, a spostare lo sguardo sistematicamente “altrove”, deresponsabilizzando gli individui. Si riparta – invece – dalle persone, da ogni singola persona: dai suoi meriti, quando ci sono, o dalle sue colpe, atroci come in questo caso.

Daniele Capezzone, 26 maggio 2019

 

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