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Le bugie di Cartabellotta sulla sanità “autonoma”

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Secondo un report pubblicato dalla Fondazione Gimbe la proposta di legge sull’autonomia differenziata, approvata in un recente consiglio dei ministri, è inevitabilmente destinata ad “amplificare le diseguaglianze di un Sistema sanitario nazionale, oggi universalistico ed equo solo sulla carta”.

Un sistema iniquo? Cambiamolo

Sembrerebbe una dichiarazione scientificamente impegnativa, anche perché corroborata da uno studio previsionale di impatto che fa parlare numeri e dati e non le opinioni di chi la pensa in un modo o nell’altro. Quello che però subito non torna è particolarmente evidente. Intanto, si ammette che il sistema vigente è “universalistico ed equo solo sulla carta”. Ma allora, se così è, perché conservarlo? Perché non provare a cercare altre vie? Perché presupporre a priori che affidare il sistema sanitario alle regioni, responsabilizzandole ma garantendo a tutti un livello minimo di prestazioni, sia un sistema che amplifichi ancora di più le diseguaglianze?

Previsione o magia?

Ciò che poi fa particolarmente specie è quell’avverbio, “inevitabilmente”, che scolpisce nel marmo quella che è solo una previsione fra le altre, cioè qualcosa che ha a che fare con quella consistente quota di imprevedibilità che è sempre connessa al futuro delle cose umane. Diciamo che la scienza può tutt’al più conoscere il probabile, ma mai l’inevitabile, pena appunto non essere più scienza ma tabù o fede irrazionale. Inevitabile è la predizione, che appartiene alla magia e alle scienze occulte, non la previsione, che è il proprio della scienza.

Vizio centralistico

Certo, la previsione produce dati ma i dati, come ci ha insegnato l’epistemologia più accorta, non sono mai “innocenti” o “neutrali”, sono il portato delle griglie e dei presupposti con cui li si è raccolti o interpretati. In sostanza, se tu parti dal presupposto che oggi c’è un gap fra le prestazioni sanitarie offerte da alcune regioni rispetto a quelle di altre perché non ti chiedi perché ciò accada o sia accaduto? Non potrebbe essere che proprio la gestione centralistica delle risorse ha deresponsabilizzato gli amministratori di alcune regioni che invece, in un sistema decentrato, si sentirebbero direttamente coinvolti in politiche su cui sanno che saranno altrettanto direttamente giudicati dagli elettori?

Il pregiudizio statalista

L’impressione è che le idee che animano tutto il rapporto, ed anche le dichiarazioni a commento del presidente della Fondazione, Nino Cartabellotta, siano viziate da un presupposto o pregiudizio statalistico e centralistico che è duro a morire. Risulta evidente a chi ragiona in questo modo lineare che è il potere centrale, lo Stato, che deve immettere risorse nel sistema fino a quando le diseguaglianze non spariscono. Cioè è proprio la logica che ha creato le diseguaglianze che viene chiamata a correggere quelle stesse diseguaglianze. Non sarebbe lecito aspettarsi che, se riproposta, essa ne creerà di ulteriori?

Serve più autonomia

A catena discendono da questo atteggiamento mentale altre proposizioni che diventano veri e propri dogmi: che il federalismo divida o disintegri addirittura il corpo sociale; che le regioni ricche vogliano correre da sole contro quelle povere, quasi che non sia un bene anche per queste ultime avere a propria disposizione una forte autonomia gestionale; che ciò che può fare il piccolo sia sempre e comunque meno di quello che può essere dato dall’alto dal grande. Quasi come la corruzione e il traffico di interessi non si annidi proprio in quei molteplici centri decisionali e di spesa che si interpongono fra il centro e la periferia. I quali spesso, in barba ad ogni predicata trasparenza, non sono nemmeno ben individuabili dai cittadini-elettorali.

Corrado Ocone, 6 aprile 2023

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