Cronaca

Le case pollaio per studenti nella città dominata dai comunisti

Il problema delle stanze in affitto agli studenti viene da lontano. Basta tornare al ’68

tende studenti

E brava la bergamasca in tenda, così si fa: si inventa una stravaganza, i cacciatori di notizie faranno il resto. Il finale è, sollevato il dibbbattito, tutto piddino, compreso il posto, politico, alla coraggiosa (ma con quel partito alle spalle son buoni tutti). Faranno i campus? Riconvertiranno le caserme? Bene, va dato atto che, senza la studentessa in canadese, non si sarebbe fatto. E poi, rilanciare l’edilizia non era un pallino pentastelle? Poiché su questo sito, in materia, in diversi hanno raccontato la propria esperienza, ecco la mia. Che se non vi interessa potete sempre saltarmi.

Dunque. Mi sono laureato in una città universitaria toscana dominata dai comunisti (tutta la regione, certo, ma quella di più). Oddìo, quando mi iscrissi era una città con molte industrie di qualità e prestigio internazionale. Ma era appena arrivato il Sessantotto, e proprio là aveva uno degli epicentri principali. Così, ocularis testigo, un giorno sì e l’altro pure c’era uno sciopero: contro i padroni, contro la guerra in Vietnam, contro le basi americane (il resto mettetecelo voi, tanto, qualsiasi cosa vi venga in mente, va bene). E poi, processi in piazza con tanto di gigantografia e indirizzo di casa, magistrati che avevano capito l’antifona, mostre continue di Frida Kahlo, Siqueiros, elpueblounido, corazzatepotemkin, concerti intillimani e cineforum a tema (unico). L’antifona la capirono anche gli  industriali di cui sopra, che, uno alla volta, si sfilarono lasciando al destino i lavoratori (vedi I vitelloni) che non ebbero altra scelta che rifugiarsi vieppiù sotto le ali del partito. Sì, ottime liquidazioni, certo, ma prima o poi finiscono.

Così, ecco l’idea. Qual era la materia prima, l’unica, in città? Gli studenti. Et voilà: con la liquidazione ci compro un appartamento e ci schiaffo dentro quanti più studenti possibile. Tanto, so’ ragazzi e s’adattano. Infatti, ecco le librerie fatte con le cassette da frutta, ecco da due a quattro letti per camera, ecco l’inventiva goliardica per organizzare una doccia, riparare un bidet che perde, una persiana che spenzola. Io, che grazie al cielo non avevo problemi, vedevo certi miei compagni fuori sede pranzare al bar con un cappuccino e due sigarette-taglia-fame. La bohème. Ma già allora mi chiedevo: questi che si riempiono la bocca con gli operai, gli operai, gli operai… Ma come fa un operaio con due figli a mandarli all’università? Poi, dopo gli esami di economia politica, la riflessione: ecco una città la cui unica risorsa è far l’affittacamere. Il campus, la caserma dismessa? Seeeh! Tu, Comune, vuoi perdere tutti i voti? Perciò nisba.

Di più: le banche cittadine drenavano un immenso risparmio che però doveva essere investito altrove, perché l’affittacamente, per definizione, non intraprende una mazza, sta bene così o non saprebbe come farlo. Si chiama stagnazione. Ma – direte – possibile che nessuno provasse ad alzare la testa? Oh, sì, per ritrovarsi con gli estremisti sotto casa. Oppure come vado di illustrare: un amico provò ad aprire un pub affiliato all’Endas in una città in cui imperava l’Arci. Ci andavo tutte le sere. E a sere alterne arrivavano i vigili a chiedere i documenti a tutti. Una volta osai domandare perché. Risposta: i vicini si lamentano del chiasso. Chiasso? Ma se la  porta è sempre chiusa? Risposta due: già, ma chi entra o chi esce la apre… Morale, il pub chiuse. Non persi mai tempo a domandare se ai circoli Arci era riservato lo stesso trattamento. Morale due: dove arrivano i comunisti non cresce più l’erba.

Rino Cammilleri, 15 maggio 2023

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