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L’Italia dei “sovranisti cattivi” che aiuta l’Albania

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Il terremoto dura un minuto, anche meno ma i suoi effetti durano decenni, a volte tutta la vita e i morti non contabilizzati sono più di quelli che restano sommersi: i vecchi, che s’ammalano di tutte le malattie e cedono, i villaggi, che restano a languire nelle loro macerie fino a che il tempo non cancella anche quelle. Nelle Marche lo sanno bene, vanno incontro al quarto inverno di promesse e di gelo, una costellazione di zone rosse, una moria di bestie e di cose e di uomini, neanche i calcinacci sono riusciti a portar via. Non chiede permesso il rombo che travolge, non bussa e non avverte. Però il terremoto fra tanta sciagura lascia anche una memoria di dolore che si tramuta in generosità, vera, istintiva. Immediata.

Dopo tanto sconquasso dalle Alpi al Lilibeo, tocca alla piccola, povera Albania, quasi una propaggine, se in Puglia prendono il binocolo la vedono. La sfortunata Albania, che dopo le catene del comunismo andava rifiorendo, le luci di Tirana, il suo dinamismo, la voglia di vivere, il flusso migrante che s’invertiva, dopo le moltitudini allo sbando degli anni Novanta per l’Italia, oggi sono sempre più italiani che vanno a cercare lavoro, dunque esistenza, oltre quel braccio di mare, e spesso la trovano. E il rombo travolge Durazzo, e l’Albania è in frantumi di lacrime. E l’Italia, come fosse toccato a lei, reagisce. Davvero senza muri e senza confini. L’Italia dei sovranisti, questi alienati con le rotelle non a posto, dei fascisti, dei razzisti, l’Italia che vota Salvini, che gode nel lasciare affogare i migranti, l’Italia famigerata da una propaganda ingiusta, non aspetta le liturgie dell’Unione Europea, che tra un brindisi e l’altro esprime vicinanza e cordoglio, vedetevela voi.

E L’Italia si arrangia, si scuote e parte per l’altra sponda con i suoi carichi di aiuti. Non solo quella istituzionale, subito annunciata dal premier Conte: oltre alla Protezione Civile, oltre ai pompieri, ci son già i volontari, c’è un popolo che a macchia di leopardo carica e parte. C’è la Regione Abruzzo, che non ha mai smesso di leccarsi le ferite profonde de l’Aquila, la cui giunta ha immediatamente deliberato l’invio di una tendopoli per 250 persone. Ci sono iniziative di tutti i generi, nelle Marche, in ogni altra regione. Ci sono gli imprenditori veneti, questo curioso tipo anarcoide scatenato, che riempiono il camion o il camper di generi di conforto e vanno, senza dir niente a nessuno “perché mì non voglio roture de cojoni”. L’Italia insofferente e casinista, che quando può preferisce fare a meno dei viluppi burocratici e si spiccia meglio da sola, un paese a macchia di leopardo che non farà il leopardo ma, come sempre gli è accaduto nella sua storia, nel peggio finisce per dare il meglio, e ci si perdoni il cliché ma ogni cliché nasconde almeno un pizzico di verità.

Ma come: questa Italia becera non era quella che odiava sempre e comunque, oggi gli africani, ieri i balcanici? E allora che ci fa in brigata Brancaleone, sgangherata magari ma determinata al punto da strappare, nel dramma, un pianto di commozione al premier albanese Ilir Meta, che all’Ansa ha dichiarato: “Voglio ringraziare il popolo italiano e le sue istituzioni per il grande contributo in questa tragedia. Il ringraziamento è doveroso non solo per le squadre altamente professionali che sono al lavoro in questo momento, ma per tutto quello che l’Italia sta facendo per affrontare questa tragedia”? E in quel tutto, magari, non ci sarà molto, ma c’è un mondo di umanità, perché esserci, in certe situazioni, diventa più importante di tutto il resto.

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