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Lo scandalo dei media che oscurano Trump

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Non è un granché la democrazia tecnologica del ventunesimo secolo se con tutti i suoi strumenti sofisticati, perfetti serve a soffocare, a censurare e arriva perfino al presidente degli Stati Uniti, un tempo l’uomo più potente del mondo.

Censura social

Donald Trump esce nel suo stile, che è quello del bisonte in cristalleria, ma possono i principali network televisivi occultarlo, possono i social media chiuderlo perché a loro giudizio dice palle? Dirà palle, non porterà pezze d’appoggio ma è difficile contestare la farsa dei voti che in certi stati risultano più degli iscritti nelle liste elettorali, votanti morti, resuscitati, perfino vecchi di 200 anni. Questo va bene, questo non va sorvegliato dagli scrupolosi gendarmi dell’agenda globale?

I quattro anni di bufale continue, di scandali russi, di mignotte svergognate, di inchieste boomerang, di accuse di ogni genere dagli stupri al cannibalismo, questo può passare in cavalleria? E passa, e nessuno invoca “le prove, le prove”, altrimenti non siete seri, non siete credibili e noi vi censuriamo. No, non un grande affare la democrazia virtuale se i critici di Biden vengono bloccati per giorni e settimane, se più accumulano follower e più, misteriosamente, il numero dei follower cala e intanto i tweet di Trump vengono strangolati.

Questo pluralismo sorvegliato, limitato non si ferma all’elezione della più grande, e se vogliamo controversa, democrazia al mondo, si riverbera sulle dittature: Youtube si censura per non spiacere ai cinesi, Microsoft del filantropo Bill Gates, filantropo filocinese, si adegua, in Iran la rivoluzione verde è abortita a nascere perché i manifestanti, dandosi appuntamenti via Twitter, potevano essere intercettati per tempo dal regime che poi li stroncava. Ma nessuno ha protestato, il livello di tolleranza per la barbarie totalitaria è direttamente proporzionale all’inflessibilità contro Trump, il miliardario che si è permesso di diventare presidente e ha dimostrato che, piaccia o non piaccia, lo sapeva fare, risultati alla mano e meno brutalmente di quanto appariva, meglio dei politici di mestiere, di carriera.

Popstar anti Trump

Non si può dire che Greta è un manichino mosso dal globalismo, che i suoi endorsement a Biden sono patetici e odiosi, ma se la popstar cretina dice che in caso di vittoria di Trump è meglio fuggire in Australia, se l’intellettuale imbecille sostiene che gli elettori di Trump sono tutti assassini seriali, solo fremiti di piacere e condivisioni. Queste popstar alla Bruce Springsteen, detto il Boss, talmente Boss che sta sempre sul palco col candidato democratico di turno, a prescindere, e pontificano dall’infimo di un livello culturale e di competenza geopolitica da scuola elementare.

O la Lady Gaga, una che solo a vederla ne cogli le devastazioni mentali. Ma è la democrazia, non è vero? Una strana democrazia che guarda al dito e mai alla luna, non si pone il problema di un cambio di rotta in America, non si preoccupa degli scenari garantiti da un Biden che è un prestanome a scadenza dei soliti clan, gli Obama anzitutto. Che succederà con un presidente debole, incapace di arginare la Cina, disponibile alle peggiori degenerazioni del politicamente corretto? Ma ci sarà, come sempre, modo di riscrivere il presente, di dirottare gli effetti. Gli idioti sono utili anche per questo.

In Italia gli idioti sono parecchi e non si capisce bene la loro foia, non si arriva a comprendere se tanto zelo sia strategico o genetico, l’unica cosa chiara è che c’è una voglia provinciale a superare nel peggio gli altri paesi, una esaltazione nella merda che sconcerta, tutta una corsa a chi è più bugiardo, più violento, più scorretto, più ultrà nell’odio verso Trump e nella santificazione di un personaggio cadente e decadente, puro raccatto dem, come Biden. Ma già all’epoca di Obama si vedevano agghiaccianti assessori di paese col selfie mentre telefonavano sotto la foto di Barack, come un tempo con Stalin, il “piccolo padre” che portava prosperità e democrazia in Russia.

Fanatismo (anti)democratico

Per un Federico Rampini che si svincola dal fanatismo, che, con snobismo sublime, denuncia le escandescenze dei Black Lives Matter come speculari a quelle dei fondamentalisti della destra fuciliera, che sbugiarda i corifei e mette i puntini sulle i della sanità americana, ci sono dieci, cento, mille che rispondono a sorrisini di compatimento, che si gonfiano della loro faziosità e scorrettezza. Per chi lavorano questi? Per se stessi, per il Pd che potrà dire, nel solito modo grottesco, “con Biden abbiamo vinto noi”. Italia di merda, provincia franata dell’impero in decadenza. Sulla Rai 3 militante chiamano la Botteri, in fama di vittima per i capelli scompigliati, e quella arriva a dire “la Cina, i diritti umani, la democrazia, vabbè”. Vabbè? Poi passano l’analisi a Giobbe Covatta, uno che fa ridere solo quando spiega il suo lumpenambientalismo mattocchio.

Dite che non è il caso di metterla giù dura, che in fondo si è sempre fatto così? Sì e no, ogni elezione è stata distorta da propagande, da colpi bassi, da manovre e compromessi irriferibili, la politica sangue e merda d’accordo, ma mai con questo livello di bassezza, di immoralità intellettuale, di censura dal sapore di fascismo, democratico ma fascismo. Le stesse dinamiche si riverberano su ogni issue, sul clima, sul Covid, sui migranti, su tutto. Non è vero quel che c’è ma quello che non c’è ma conviene ci sia. Ed è vero solo quel che si lascia dire.

I social network hanno una loro politica garantista che nessuno capisce, cancellano contenuti ad esclusivo arbitrio, bloccano autori senza spiegazioni, Facebook può sospendere iscritti sulla semplice constatazione che “ti abbiamo già bloccato in passato”, quindi ti fermiamo ancora. Siamo al processo kafkiano, ma sempre ad una dimensione, ad un senso di marcia. In compenso, pagine pedofile o allegramente blasfeme restano dove sono, o, nel frasario da Silicon Valley, “rientrano nella nostra policy”.

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