Carlo Calenda perde i voti ma non il vizio. Dopo lo scudo democratico per sottoporre l’informazione al capillare controllo di un organismo governativo composto da esperti estratti a sorte investiti del supremo compito di stabilire dall’alto cosa annoverare come informazione e cosa invece ridurre a disinformazione, e dopo aver teorizzato, appena qualche giorno dopo, la definitiva cancellazione del Movimento Cinque Stelle dal panorama politico nazionale, in quanto ostacolo insormontabile per la formazione del “campo largo” di centrosinistra, l’ex titolare del MiSe ci ricasca.
Questa volta, a finire nel mirino del “democraticissimo” leader di Azione è stata l’Ungheria del premier Viktor Orban, accusato senza mezzi termini da Calenda di essere una pedina nelle mani della Russia di Vladimir Putin, e di rappresentare, pertanto, un intralcio per l’agenda politica comunitaria. Secondo la visione del fondatore di Azione, il primo ministro ungherese tenderebbe infatti a bloccare le decisioni dell’Unione in materie strategiche come energia e difesa, e ad adottare norme contrarie allo Stato di diritto, con particolare riferimento alla stretta recentemente varata da Budapest sui Pride.
Un provvedimento che Carlo Calenda considera inaccettabile per un paese europeo, che, pertanto, meriterebbe una punizione esemplare da parte delle istituzioni comunitarie: la cacciata dell’Ungheria dall’Unione europea. Si, proprio così. In evidente disaccordo con l’approvazione, da parte del parlamento ungherese, dell’emendamento alla Costituzione che permette al governo di Budapest di vietare gli eventi organizzati dalla comunità Lgbt, il leader di Azione propone ora all’Ue l’uso delle maniere forti per colpire Orban e la sua Ungheria, considerata dall’ex dem troppo vicina alla Russia per poter continuare a far parte dell’Europa.
È dunque questa la soluzione prospettata da Carlo Calenda per risolvere i tanti problemi che affliggono l’Ue: dare il benservito agli ungheresi, espellendoli unilateralmente dall’Unione e consegnandoli definitivamente alla Russia di Putin. Un autentico capolavoro geopolitico e diplomatico, insomma, soprattutto se pensato da uno che continua, nonostante tutto, a professarsi ad ogni occasione utile europeista, liberale e democratico.
Salvatore Di Bartolo, 16 aprile 2025
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