Ottocento miliardi di euro entro il 2030 per riarmare l’Europa in chiave antirussa. Questo è quello che prevederebbe il piano di difesa comunitario, il cosiddetto “ReArm Europe“, pensato dalle istituzioni europee per superare la frammentazione che da sempre contraddistingue l’Unione e mobilitarsi militarmente per adeguarsi alle sfide del presente e difendere il vecchio continente dalle possibili mire espansionistiche della Russia di Vladimir Putin.
Ora, due premesse doverose. Primo: l’Ue si trova effettivamente in una posizione di netto ritardo strategico sulla strada dell’integrazione militare. Secondo: chi scrive, crede fermamente nella necessità di costruire un sistema integrato di difesa comune europea svincolato da interessi prettamente nazionalistici. Ciò detto e premesso, non si può comunque fare a meno di notare che il piano militare proposto sembri andare nella direzione esattamente opposta rispetto ai bisogni di difesa comunitari: ovverosia, spingere gli Stati membri ad investire in armamenti in modo ancor più frammentato, senza peraltro creare i presupposti necessari per la costruzione di una vera politica di difesa comune.
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Il piano di riarmo di Von der Leyen e compagni, infatti, che, almeno sulla carta dovrebbe servire a gettare finalmente le basi per un’Europa comune della Difesa, rischia invece, nei fatti, di accentuare ulteriormente le divisioni tra i vari Paesi membri, dal momento in cui consentirebbe ad ognuno di essi di gestire la propria quota fondi per rafforzare le proprie capacità militari, ma non necessariamente per finalità allineate all’obiettivo di una politica di difesa comune europea. La direzione tracciata da Bruxelles sembrerebbe, pertanto, quella di indurre gli Stati membri a potenziare i loro arsenali militari, senza tuttavia subordinare il piano di rafforzamento in questione a un organismo europeo sovranazionale. Ma, così facendo, è bene sottolinearlo, si rischia seriamente di incrementare ulteriormente la competizione all’interno degli stessi confini europei e risvegliare la mai sopita rivalità tra i Paesi membri. Non solo. Perché, se l’obiettivo dichiarato delle istituzioni comunitarie è effettivamente quello di evitare conflitti su larga scala, allora non si può assolutamente prescindere dall’intraprendere il percorso della deterrenza nucleare, già ampiamente tracciato dalle altre potenze globali. La via della deterrenza garantirebbe infatti all’Europa la presenza di un ombrello protettivo condiviso, sbarrando la strada a qualsivoglia tentativo di invasione da parte di potenze ostili. Eppure, anche in tal caso, il piano di riarmo europeo pare andare nella direzione esattamente opposta, prevedendo investimenti per centinaia di miliardi di euro in armamenti convenzionali, senza la creazione di un vero arsenale nucleare gestito a livello europeo.
In estrema sintesi, dunque, l’Ue presenta un ambizioso piano di investimenti di ben 800 miliardi di euro per la creazione di una difesa comune, che, all’atto pratico, non contempla una deterrenza nucleare, e, per di più, sembrerebbe voler demandare la difesa europea all’iniziativa dei singoli Stati membri, senza un chiaro indirizzo politico condiviso, senza una regia comune e con il rischio di acuire ulteriormente le distanze e la rivalità tra i Paesi europei. Insomma, nulla di nuovo sotto il sole. Sempre la solita vecchia Unione, disorganizzata, frammentata, incompiuta, miope.
Salvatore Di Bartolo, 10 aprile 2025
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