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Macron, il terribile sospetto sul trucco delle sinistre

Le elezioni francesi sono l’esempio di come la sinistra imposti le competizioni elettorali sulla demonizzazione dei “populisti”

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Se avessi la cittadinanza francese, avrei votato anch’io per Emmanuel Macron ma non mi associo ai festeggiamenti per la sua vittoria. Macron, infatti, è poco amato dai francesi, ha uno scarso seguito e solo lo spettro del presunto sovranismo lepeniano (sovranismo sta per fascismo) lo ha riportato all’Eliseo. Mi chiedo, allora, ma che democrazia è quella in cui vince solo chi rimane l’unico candidato presentabile in campo perché l’avversario politico non è considerato un avversario “normale” ma un nemico, l’incarnazione di Satana?

Ho un terribile sospetto: che le sinistre di governo, perdenti su tutta la linea (gli operai francesi hanno votato per Marine), abbiano trovato il modo di rimanere per sempre in sella. Basta evocare “Annibale alle porte” per ottenere un’assicurazione sulla vita ovvero una facile maggioranza elettorale. Non a caso leader postcomunisti che non hanno nessun serio e realistico progetto in mente, che sono a rimorchio, in Italia e in Europa, dei “poteri forti”, dedicano tutte le loro energie alla demonizzazione dei “populisti”, sostenuti da giornali che sono “fogli d’ordine” al servizio dello squadrismo intellettuale che caratterizza ormai gran parte della political culture – forse non soltanto nel nostro paese.

Un giornalista non certo wertfrei come Gianni Riotta, in un articolo del 22 aprile, “Tribalisti contro globalisti” (“la Repubblica”) si è quasi compiaciuto per il fatto che alla divisione tradizionale “destra/ sinistra” si sia sostituita quella tra patrioti, “rinchiusi in confini ancestrali”, e globalisti “che guardano al mondo”. Nessun sospetto che mettendo, da una parte, gli ”scalmanati che detestano emigranti, culture e identità diverse”, i nostalgici dello “Strapaese italiano, del protezionismo economico” gli odiatori della “cultura digitale delle piattaforme sociali” e, dall’altra, i cittadini responsabili e assennati, che non hanno paura della globalizzazione ma la giudicano un’opportunità, non stia descrivendo il mondo ma stia facendo il ritratto di Dorian Gray, allo scopo di mettere in guardia contro gli appestati. È la fine della dialettica politica e dello stesso spirito – tante volte chiamato in causa retoricamente – dell’Occidente, impensabile senza la consapevolezza che, nel conflitto politico e sociale, ci sono “verità” sia in uno schieramento che nell’altro.

Che dialogo ci può essere, infatti, tra i “virtuosi” globalisti, esaltati da Riotta, e i perversi “tribalisti”? I primi, a suo dire, hanno contribuito “a sradicare la miseria da sterminati Paesi ma contraendo lo status di ceti medi e lavoratori” e tuttavia solo loro sanno come porvi rimedio e come si possa essere “veri patrioti, sereni della propria identità, lingua, classici, tradizioni” ma “curiosi di incrociarla con altri, senza paure o nevrosi”. Insomma tutti i civilizzati sulla stessa barca e i barbari buttiamoli pure in mare. Non può esserci vera partita tra il Bene e il Male giacché il secondo va espulso (almeno moralmente) dal campo di gioco.

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