Politiche green

Follie verdi

“Mi sono indebitato per le norme green. E adesso rischio di fallire”

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Sulle colonne di questo sito lo abbiamo ripetuto più volte: la sostenibilità ambientale non può non essere accompagnata da quella economica. Eppure, per molti fondamentalisti green, il secondo aspetto può tranquillamente lasciare il posto al primo, senza rendersi conto delle catastrofiche conseguenze produttive cui andrebbero incontro i produttori comunitari.

Direttiva green SUP

Esempi plastici di questa ondata verde non sono solo la direttiva green sulle case, o lo stop alla vendita di macchine diesel e benzina dal 2035, questa volta ne abbiamo un caso concreto, già in vigore, che sta investendo il tessuto industriale del nostro Paese. Ed è la direttiva Ue SUP (Single Use Plastic), una normativa comunitaria del 2019 volta al contrasto dell’inquinamento causato dalla plastica, introducendo in capo alle aziende nuovi obblighi, in termini di divieto e riduzione, sull’utilizzo di determinati prodotti fabbricati in materiali plastici. Tenendo conto in particolare della plastica monouso.

Tra gli oggetti che saranno parte del divieto si menzionano per esempio posate, bacchette, oggetti in plastica oxo-degradabile, recipienti in polistirene espanso, bastoncini cotonati, aste dei palloncini ed infine pure gli agitatori di bevande (banalmente, le bacchette utilizzate per i cocktail o per i caffè). Ebbene, proprio sotto quest’ultimo profilo, ci ha contattato un’azienda del settore, nata nel 2018 e produttrice di miscelatori di bevande, “le cosiddette palettine da caffè che erogano i distributori automatici”, e che ora rischia di chiudere con la sola colpa di aver rispettato la legge italiana.

Il caso italiano

La normativa europea è stata adottata mentre a Palazzo Chigi era insediato il governo giallorosso, quando il ministro dell’Ambiente era il grillino Sergio Costa, per poi entrare in vigore nel gennaio 2022 durante l’esecutivo di Mario Draghi. Ed sta tutto qui il punto. La normativa entrata in vigore nel nostro Paese, come ci spiega l’azienda che vuole mantenere l’anonimato, ha una particolarità: il Belpaese ha allargato le regole anche alla compostabile (Ok Compost), cosa che invece in Ue prima non era previsto. Si consideri che, sotto quest’ultimo profilo, l’Italia rappresenta un asset strategico in Europa e nel mondo, al secondo posto solo dopo la Cina. 

Dopo aver seguito e rispettato tutte le procedure burocratiche ed ottenuto le certificazioni richieste dalle norme (UN 13432), l’azienda si trova nel paradosso di ritrovarsi competitor che proseguono la produzione in palese violazione delle disposizioni italiane e comunitarie. “Abbiamo distrutto impianti – ci spiegano – abbiamo contattato tutte le migliori maestrie per la tecnica di stampaggio con un materiale ancora poco conosciuto, abbiamo prodotto debiti su debiti, abbiamo fatto tutto l’iter per rispecchiare le normative”. Ebbene, “oggi rischiamo di fallire perché la normativa SUP non la rispetta nessuno”. 

Per approfondire:

Oltre al danno, arriva anche la beffa. Le aziende competitor continuano a produrre miscelatori di plastica (vietati dalla legge per esigenze green) sotto mentite spoglie, riuscendo ad aggirare le disposizioni semplicemente indicando la formula “riutilizzabile” o “rilavabile”. Uno scenario tragicomico, visto che appare lampante come il consumatore non possa lavare e riutilizzare la palettina di plastica per bere il caffè.

Gli effetti

Nonostante tutto – continuano a spiegarci i vertici dell’azienda – “i competitor sanno di essere in palese violazione delle regole”, scaricando la responsabilità sul consumatore, il quale ogni volta che utilizza il miscelatore rischia una sanzione fino a 25.000 euro, salvo aver accertato di aver ricevuto un prodotto rilavabile e di poterne effettivamente realizzare il lavaggio. Il tutto è possibile perché il nostro Paese non ha ancora definito gli organi di controllo: ciò vuol dire che siamo nel paradosso di una legge fantasma, ovvero esistente ma bypassata da buona parte dei competitor. E a pagarne il rischio sono sempre il consumatore finale e chi ha rispettato le regole.

L’adeguamento dell’azienda agli standard di legge ha permesso di ridurre del 50 per cento la produzione di Co2, dietro la spesa di milioni di euro. Questo, però, non preclude il concreto pericolo di chiudere tutto, “se non ci saranno controlli e se lo stato delle cose non cambia”. Le conseguenze? “Saremo costretti a chiudere l’azienda, lasciando a casa 20 persone che non potranno campare per la perdita del posto di lavoro”. E ancora: “Lavoro che al Sud non esiste, se l’esecutivo non farà applicare la normativa”, come fatto da “una azienda come la nostra, che ha cercato di fare tutto nella massima trasparenza, credendo nelle regole e leggi del governo Italiano”.

Matteo Milanesi, 28 luglio 2023