La creazione di un “ordine di rimpatri europeo”: questo v’è al centro dei piani della Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen sul dossier migranti. La proposta mira a semplificare e rafforzare le procedure di rimpatrio dei migranti irregolari, consentendo l’espulsione dei richiedenti asilo respinti verso Paesi con cui l’Ue ha accordi bilaterali, che potrebbero includere strutture di detenzione all’estero.
Non si tratta della prima iniziativa in questo senso: nel 2018 la Commissione guidata da Jean-Claude Juncker aveva già tentato di introdurre un quadro normativo simile, ma senza successo. L’obiettivo, ancora una volta, è quello di superare le barriere legali che impediscono agli Stati membri di inviare i migranti respinti verso altre nazioni senza il loro consenso. Un modello simile è stato sperimentato in passato da Paesi come l’Australia, con Papua Nuova Guinea, e il Regno Unito, con il Ruanda, ma senza ottenere risultati duraturi e con ingenti costi per i contribuenti.
In Italia, i centri di rimpatrio in Albania sono stati creati, ma sono rimasti per lo più inutilizzati, bloccati dalle decisioni della magistratura di sinistra. Ecco, un messaggio per tutti i soloni: Bruxelles conferma ancora una volta che la strategia del governo è quella giusta, con buona pace delle toghe politicizzate. “La proposta introduce la possibilità di rimpatriare i cittadini di Paesi terzi che hanno ricevuto una decisione di rimpatrio in un Paese terzo con cui esiste un accordo o un’intesa per il rimpatrio (“centri di rimpatrio”)”, quanto si legge nel testo. L’articolo 17 mette in risalto che “tale accordo o intesa può essere concluso solo con un Paese terzo in cui siano rispettate le norme e i principi internazionali in materia di diritti umani in conformità con il diritto internazionale, compreso il principio di non respingimento”.
In altri termini, il nuovo regolamento prevede che tali rimpatri possano avvenire solo con Paesi terzi che rispettano gli standard internazionali sui diritti umani, garantendo che le circostanze locali non compromettano la sicurezza e il benessere dei migranti rimpatriati. Le famiglie con minori e i minori non accompagnati sono esclusi da queste procedure. In particolare, l’accordo tra l’Ue e i Paesi terzi dovrà garantire il rispetto dei diritti fondamentali, come il principio di non respingimento, che impedisce l’espulsione verso Paesi dove il migrante possa correre il rischio di subire trattamenti inumani o degradanti.
E fa sorridere, da qui il nostro titolo, che dopo le polemiche che hanno investito Donald Trump con la bufala delle “deportazioni” dei clandestini, alla fine l’Ue si ritrovi a fare più o meno la stessa cosa. Anzi, forse ancor più dura visto che il “rimpatrio” in questo caso non avverrebbero verso il Paese di origine del migrante ma verso un terzo Stato con cui l’Europa ha accordi bilaterali.
La riforma del sistema di rimpatri “è un tassello mancante fondamentale del Patto di migrazione e asilo. Al momento, la politica di rimpatrio dell’Ue sta fallendo. Il tasso di rimpatrio rimane molto basso, circa il 20%, le persone che hanno un ordine di rimpatrio, spesso sfuggono alle autorità. Molti si trasferiscono in un altro Stato membro e l’attuale lavoro di gruppo con 27 diversi sistemi nazionali mina anche l’efficacia dei rimpatri a livello di Unione. Quando le persone senza diritto di soggiorno rimangono nell’Ue, la credibilità dell’intera politica migratoria è compromessa”. le parole della vicepresidente esecutiva della Commissione europea, Henna Virkkunen.
Questa mossa della Commissione si inserisce in un contesto politico europeo sempre più influenzato dalle forze politiche di destra, che pongono la questione della migrazione al centro del dibattito. Friedrich Merz, leader della Cdu e vincitore delle elezioni in Germania, ha dichiarato l’intenzione di intensificare i controlli alle frontiere e aumentare i respingimenti, nell’intento di ridurre drasticamente l’immigrazione irregolare. Il regolamento, che sarà obbligatoriamente applicabile in tutti gli Stati membri, mira a creare un sistema omogeneo per la gestione dei rimpatri, superando l’attuale frammentazione che caratterizza i 27 diversi sistemi nazionali di rimpatrio. L’introduzione di questo quadro comune vuole evitare che l’efficacia del processo venga compromessa dalle divergenze tra le diverse legislazioni nazionali.
Un altro aspetto fondamentale del regolamento è la codifica del divieto di ingresso nell’Ue per coloro che non collaborano al processo di rimpatrio. Il divieto, che può durare fino a dieci anni, si applicherà anche a chi non lascia il Paese entro la data stabilita o si sposta senza autorizzazione in un altro Stato membro, nonché a chi rappresenta una minaccia alla sicurezza dell’Unione. Nonostante il testo della proposta sia stato già diffuso, il percorso verso l’adozione definitiva del regolamento è ancora lungo, e dovrà passare attraverso un complesso processo di negoziazione tra il Consiglio dell’Unione europea e il Parlamento europeo. Resta da capire come questa proposta si inserirà nel contesto della recente revisione delle politiche di asilo e migrazione nell’Unione Europea.
Leggi anche:
Si tratta certamente di una vittoria per l’Italia sul fronte immigrazione. Il nuovo piano si muove secondo le direttive che Roma reclama da tempo, dai rimpatri accelerati agli hotspot per la gestione delle domande. La proposta di regolamento si applicherà in tutti gli Stati membri senza bisogno di essere recepita nei singoli ordinamenti.
Franco Lodige, 11 marzo 2025
Nicolaporro.it è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati (gratis).