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Nella vicenda Carige tanti errori, ma basta Stato

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La vicenda Carige è come una prova di laboratorio, in cui si possono verificare tante ipotesi antiscientifiche. Val la pena dunque parlarne quando le bocce non sono ancora ferme. Ci sono due strade davanti a noi: la nazionalizzazione e il mercato. Il governo vuole usare i nostri quattrini per mettere a posto la situazione. Mr Wolf- Tesoro italiano è già intervenuto nel Monte dei paschi, potrebbe farlo anche a Genova.

Ma andiamo per ordine. Le banche del territorio sono la forza dell’economia italiana. Bella frase. Ma siamo davvero convinti che sia stato così? O meglio quando la banchetta del territorio, ha provato ad alzare la testa ha fatto solo casini. Ci sono delle eccezioni, ma dobbiamo registrare come troppe banche del territorio (e per di più, territori ricchi) siano saltate. È la storia della Carige. Che incarna forse il difetto principale delle banche locali: il potere e il governo di queste società è stato per troppo tempo fuori dal controllo e dalla sanzione del mercato. I suoi vertici si cooptavano e si tenevano in piedi come tanti ubriachi stretti in fila. Compravano il consenso locale e gestivano, più che gli sportelli, una rete di relazioni che permettevano la loro sopravvivenza. Poi aggiungeteci l’atteggiamento strabico del regolatore, modellato sulle grandi istituzioni più che sulle piccole: attitudine scorretta, ma che con realismo si sarebbe dovuta tenere in considerazione. E pensare che l’ultimo governatore della Banca d’Italia cacciato a furor di popolo, fu quell’Antonio Fazio, che proprio sull’aggregazione “ottriata” delle banche locali fu fatto saltare. Carige, come molte banche locali, ha prestato male, ha subito la recessione globale, ed è stata gestita peggio.

Ma che dire del post Prima Repubblica? A qualcuno sembra forse normale che un investitore industriale come Malacalza abbia aderito a quattro aumenti di capitale (quattro) per circa tre miliardi senza che la banca si sia messa sulla corsia giusta. Insomma un ignorante, come chi scrive questa zuppa, si chiede: se in quattro anni metto in un società, neanche troppo grande, tre miliardi di euro perché il regolatore me lo chiede e poi vengo a scoprire che non bastano mai, chi sbaglia? Io che come un gonzo apro il portafoglio, quasi fossi un tossico alla continua ricerca della roba, o il pusher che non riesce a darmi il colpo di grazia: e cioè a dirmi una volta per tutte quanto devo mettere per rimettere le cose a posto.

La morale è che un industriale come Malacalza ha messo nella Carige più di 400 milioni di euro: che oggi si sono di fatti volatilizzati. Ogni imprenditore che si rispetti deve capire una volta per tutte una regola d’oro del sistema creditizio: puoi anche avere il 90 per cento del capitale sociale di una banca quotata, ma non sarai mai il padrone. Le banche non sono un’azienda normale; la proprietà è sempre del regolatore e cioè della Bce e della Banca d’Italia. Che da questa vicenda ne escono a pezzi: per ciò che non hanno fatto prima, e per ciò che hanno fatto male dopo.

Nella vicenda di Carige, a metà del guado e prima del funerale, arriva un finanziere esperto, come Raffaele Mincione. Che fa un calcolo molto poco finanziario e piuttosto logico. La banca è una bara fiscale: chi se la compra si porta a casa un credito tributario da un miliardo. Inoltre, seconda atout, la Carige è gravata da una serie di condizioni prudenziali poste dal regolatore (Add-on), vista la sua cattiva salute, che se dovesse sposarsi con una principessa verrebbero meno. Terzo elemento: vi è comunque un avviamento della banca in Liguria che mantiene, nonostante tutto, ancora un po’ di valore. Insomma una banca nella polvere, se fusa con una istituzione decente, potrebbe portare soldi e valore sia all’una sia all’altra. È un azzardo. Che non riesce. Mincione perde il suo investimento da una ventina di milioni.

E ritorniamo al punto di partenza. Tutto questo percorso per capire come se ne possa oggi uscire. La tesi del finanziere oggi è più valida, paradossalmente, di quella dell’industriale. Proprio perché il mercato bancario, è un mercato in cui le azioni non si contano e non si pesano più. L’Unica azione che vale è quella in mano al regolatore.

In questo contesto si può certamente nazionalizzare: ma per fare cosa. Volete davvero che Carige sia gestita a Roma? L’ipotesi finale: quella di piazzare il cadavere al becchino con le spalle più larghe (ci spiace la macabra metafora, ma per troppo tempo si è pensato di salvare il paziente con l’aspirina), e cioè la soluzione di mercato, la fusione con un’altra banca resta la soluzione che crea maggior valore. Certo è difficile fare un prezzo, dopo che il regolatore e il precedente governo, per casi simili hanno piazzato il cadavere ad un euro, compresa la dote.

Nicola Porro, Il Giornale 12 gennaio 2019