Società

Non fate come Ilaria Salis: Angela Carini non è un’eroina anti-woke

Il centrodestra non trasformi la pugile italiana in una sorta di paladina della lotta al gender. Certe cose lasciatele a Bonelli

© allanswart tramite Canva.com

Spiace doverlo ammettere, ma, sulla gestione del caso Carini, l’italico mondo conservatore si sta comportando esattamente alla maniera dei turbo-progressisti nostrani. Né più e né meno. Uguale copione, stessi metodi e medesimi schemi. C’è tutto: il vittimismo dilagante a reti unificate, la non accettazione, o peggio, la demonizzazione dei punti di vista difformi, la propaganda martellante carica di informazioni parziali ed inesatte, quella sfrenata esigenza tipicamente sinistra di voler a tutti i costi creare delle inutili bandierine ideologiche da poter poi orgogliosamente sventolare contro l’avversa fazione politica.

A ben vedere, infatti, è proprio questo il processo che, più o meno consapevolmente, si sta innescando attorno alla figura di Angela Carini: una fastidiosissima ed insensata azione beatificante attraverso cui i sacerdoti del conservatorismo stanno innalzando l’atleta campana a nuovo baluardo della lotta anti-woke. Sebbene, nel caso specifico della vicenda Carini-Khelif, di woke ci sia veramente poco. Da una parte, infatti, c’è un’atleta, l’algerina, dotata di una fisicità importante, sicuramente fuori dal normale, che le regala un indubbio vantaggio competitivo sulle avversarie.

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Dall’altra, c’è invece la Carini, che, probabilmente ella stessa suggestionata dall’asfissiante martellamento mediatico della vigilia, riesce a malapena ad incassare due colpi prima di abbandonare affannosamente l’incontro. Tutto lecito, per carità. Ci sta che la pugile italiana, dopo aver preso atto della manifesta superiorità fisica dell’avversaria, abbia deciso di alzare bandiera bianca. Comprensibilissimo. Ma, ad essere onesti, in quella mesta ritirata c’è tanto di umano, ma veramente poco di eroico. Perchè, sarebbe bene accettarlo,

Angela non è affatto un’eroina, né tantomeno una vittima sacrificale volutamente immolata sull’altare dell’ideologia gender. È semplicemente un’atleta che legittimamente ha scelto di anteporre il suo benessere fisico al mero risultato sportivo. Un gesto senz’altro coraggioso e dignitoso, gliene va dato atto.

Ma, sicuramente, nulla per cui la stessa debba essere necessariamente eretta a nuova bandiera del mondo conservatore, o insignita di particolari onorificenze, premi in denaro o improbabili proposte di candidature in perfetto stile Avs. È l’ora di finirla, cari conservatori. Certe strampalate opere pie lasciamole pure a Bonelli e Fratoianni.

Salvatore Di Barolo, 4 agosto 2024

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