Politica

Occhio a definirlo “burino”

Trump non inciampa nelle gaffe: le crea, le cavalca, le trasforma in titoli di giornale. Non è incapacità ma strategia

Nel 1985, con La prevalenza del cretino, Fruttero e Lucentini ci mostravano con ironia un’umanità intrappolata nella stupidità inconsapevole, un mondo goffo, ingenuo e invadente ma sopportabile. Purtroppo oggi il cretino ha ceduto il passo a una figura ben più invadente e difficile da sopportare: il burino. A Roma il burino, è volgare, maleducato, arrogante e sfrontato. Non conosce la raffinatezza, ama l’eccesso e ignora volutamente le norme della buona educazione, per attirare l’attenzione e imporre la propria presenza.

Negli Usa la prevalenza del burino sta avendo grande successo e vorrebbero esportarla senza imporre alcun dazio, non a caso la sua migliore incarnazione è proprio Donald Trump, maleducato, ostentato e provocatorio. Un presidente che fa della volgarità un’arma, della sfrontatezza un manifesto, della maleducazione, un brand. Il burino, a differenza del cretino, non agisce per ignavia, ma per scelta. La sua maleducazione è un atto consapevole, una performance che cerca applausi. Vive in palazzi dorati alla stregua di un Casamonica, con completi lucidi, cravatte lunghe, ciuffo arancione, e belle donne annoiate al seguito. Non è un caso, è un’estetica calcolata, un’ode al “troppo” che rifiuta ogni misura.

Se un tempo la politica era sartoria con Trump è diventata grandi magazzini. Trump non inciampa nelle gaffe: le crea, le cavalca, le trasforma in titoli di giornale. La sua forza sta nel trasformare la critica in carburante. Lo chiami volgare? Lui raddoppia. Lo accusi di divisione? Lui polarizza ancora di più. È un ciclo che alimenta se stesso, in cui la burinaggine diventa non solo accettabile, ma necessaria Non c’è traccia di diplomazia, solo una schiettezza da bar che trasforma ogni discorso in un ring. Interrompe, deride, alza la voce, non persuade ma travolge. I suoi tweet (o post su Truth) sono un distillato di questa filosofia: insulti, accuse sparate senza prove, mai un ripensamento. Non è incapacità, è strategia. Il burino non dialoga, domina. E in un mondo di schermi e notifiche, questo approccio colpisce più di un discorso ben argomentato.

Ricordo il G7 del 2018, quando spinse da parte il premier montenegrino per mettersi in prima fila. Quel gesto, immortalato dalle telecamere, non era solo maleducazione: era la dichiarazione di un uomo che vede il mondo come una gara di prepotenza. Perché il burino non si adegua, si impone. Ma la burinaggine di Trump non è solo personale: è contagiosa. Ha ispirato un’onda di emulazione, dai politici che scimmiottano il suo tono ai commentatori che adottano la sua aggressività. Sui social, i suoi sostenitori ne hanno fatto un modello, trasformando il confronto in rissa verbale. È il paradosso del nostro tempo: in un’epoca che celebra la tolleranza, la maleducazione diventa sinonimo di sincerità. “Dice quello che pensa”, si sente dire spesso, come se il garbo fosse ipocrisia e la volgarità verità.

Ogni suo gesto, ogni parola, è un’esca per telecamere e algoritmi, e il pubblico, volente o nolente, abbocca. Non importa se lo ami o lo odi: ne parli. Il rischio è che la burinaggine diventi norma, che il rispetto, la misura, il dialogo – valori già fragili – si sgretolino sotto il peso di una cultura che premia chi urla più forte. Trump non ha inventato questo fenomeno, ma lo ha amplificato, dandogli un volto e una voce. Ma tra qualche giorno incontrerà Giorgia Meloni, che in Italia qualcuno taccia di toni troppo schietti e modi da Garbatella. Vedremo due primedonne del “parlar chiaro”, in un faccia a faccia dove il burino supremo rischia di essere travolto dalla franchezza garbatellesca di Giorgia, che ha imparato fin da giovane ministro a trattare con miliardari primedonne.

Meloni, chiamata a negoziare su dazi e alleanze, dovrà danzare sul confine tra diplomazia e la tentazione di rispondere a tono al re dei burini. Prevarrà la cautela ma suggerirei a Donald di non tirare troppo la corda perché a Roma a una certa se parte de capoccia!

Antonio De Filippi, 16 aprile 2025

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