Politiche green

Oktoberfest, dal rutto libero al politically correct: arriva il pollo “green”

oktoberfest pollo bio © indigolotos, wongwage e kwasny221 tramite Canva.com

Le cose stanno così: all’Oktoberfest, che a Monaco in Germania è una istituzione come l’Indipendenza americana o il Natale dei cristiani, costa tutto il doppio, dalla birra al pollo perché è pollo woke, pollo biologico, ah la grande truffa “bio” che rende accettabile ogni rapina, tappa le bocche, mette a posto la coscienza dei tedeschi europei che predicano svolte green che di ecologico non hanno niente, di ambientale non hanno niente, che legittimano lo sfruttamento a livelli schiavistici dei bambini del Congo, di altri Paesi africani che vanno a grattare con le mani le terre rare che servono a creare un mondo migliore, più verde, più green.

Ce lo racconta sull’Huffington Post Linda Varlese che è una collega molto brava e fa un pezzo a regola, preciso, pulito, dettagliato equilibrato, almeno in apparenza, fino alla fine. In effetti viene interpellato un professor Christopher Hein, in forza alla Luiss, che ricorda un po’ il professor Birkenmayer della clinica-galera di Fantozzi: “È una tendenza che non si può più fermare, per fortuna”. Il professore parla dei presunti aspetti climatici, di quella tendenza autoritaria a imporre le cose come vogliono quelli come lui e come i Verdi, questa peste europea che dove passa lascia danni e un deserto di soluzioni. “La gente è già abituata a fare sacrifici anche economici per essere in linea con questa politica, sentita dalla gente, di seguire una strada per potere dare il proprio contributo al cambiamento” dice il professor Hein e fa rabbrividire, o forse sorridere, comunque ce n’è abbastanza.

La gente già abituata, per dire addestrata, a fare sacrifici, cioè deprivarsi del sacrosanto diritto a esistere? Per quelli come Hein sì e per il grosso dell’informazione, all’insegna del catastrofismo entusiasta, pure. Ma per quale motivo “la gente” dovrebbe essere felice di pagare il doppio un polletto a presunto km 0 ad una cerimonia di boccali di birra, salsicciotti e avvenenti fanciulle che servono ai banconi di legno? Perché “è una tendenza che non si può fermare”? In effetti la tendenza alla scriteriata svolta green si sta già ridimensionando: nella finanza, negli aspetti culturali come in quelli legati ai consumi indotti dal mercato che alla fine resta il giudice definitivo delle scelte della cosiddetta gente secondo la regola aurea: mi conviene, non mi conviene; o, se si preferisce, ci arrivo, non ci arrivo.

La Germania ha già ripensato ai suoi deliri. In modo ipocrita, continuando a predicare, ma razzolando nel modo opposto. Resasi conto che le immani somme, succhiate all’Unione Europea, per perseguire la “svolta green” legata alle energie rinnovabili la avrebbe lasciata drammaticamente scoperta, con implicazioni tragichee sull’industria e dunque sul sistema-paese, ha ripreso ad assorbire carbone e gas per mezzo mondo, ad esempio in Sudafrica, questa democrazia sempre zoppicante, discutibile, dove, pensate, i governanti sono accusati di ordire trame oscure manovrando i rapporti finanziari, quelli che in Europa si conoscono come “spread”, così da far crollare i governi sgraditi ed imporre un ritorno allo status quo con tanto di lista dei ministri già in tasca (che fortuna non essere sudafricani, vivere in una democrazia compiuta, matura come quella italiana dove certe cose non sono sospettabili, non sono neanche pensabili).

Ma il Sudafrica, come racconta Federico Rampini nel suo nuovissimo saggio “La speranza africana”, fa le sue scelte improntate a pragmatismo ovvero “inquinare per non inquinare”: il Paese giovane, stretto fra contorsioni e lacerazioni, arretrato e futuristico, capisce che la sfida da non perdere è quella con la industrializzazione diffusa e chiede energia a basso costo, affidabile, pronta; dopo, potrà eventualmente rivolgersi alle fonti diverse e alternative. Per questo non esita a rivolgersi a potenze autoritarie e controverse quali Cina e Russia, secondo una logica inoppugnabile: “Loro ci danno ciò di cui abbiamo bisogno, non vengono a farci prediche sterili come l’America e l’Europa”. Si chiama tutela del Paese, della sua popolazione, della “gente” e stupisce che il pur ottimo articolo dell’Huff sull’Oktoberfest dove si celebra l’ineluttabilità del pollo politicamente corretto non ne tenga e non ne dia conto. Il raddoppio dei costi alla festa di Monaco sembra più il colpo di coda, oltre che la fregatura, di una stagione già superata dalle contingenze e drammatiche contingenze, da una realpolitik che il conflitto russo-ucraino ha certamente acuito, ma non determinato: errori e disastri, in questo caso, erano, sono tutti tedeschi, europei, made in woke.

Tutto ciò che al professor Hein pare indiscutibile e incorreggibile è già in crisi e in discussione, prende strade tangenziali, dirotta le scelte della politica, in qualche caso la direzione curva inevitabilmente ad “U”: in Germania, per restare in patria, stanno crollando gli ordinativi dell’auto elettrica le cui batterie creano lo scempio della popolazione infantile africana e peraltro risultano inaccessibili alla classe media tedesca: mi conviene o no? Posso permettermelo o no? Al di là del discorso puramente pragmatico restano le implicazioni legate alla libertà di scelta, perfino più urgenti perché più profonde, definitive e come tali non a caso attaccate con furia fanatica dai tanti Hein più o meno verdi: il progresso è woke e non si discute, la tendenza è irreversibile “per fortuna”, abbiamo deciso così e non ci si torna sopra.

Chi ha deciso così? La leggendaria comunità scientifica del 97% no perché non esiste, trattasi, come dimostrato e ormai risaputo, di un 97% all’interno di un 20% di fondamentalisti a loro volta nel recinto di un 30% di possibilisti sull’eresia dei cambiamenti climatici puramente antropici, indotti dall’homo capitalisticus: a conti fatti, una percentuale infima, decimale. Chi ha deciso come viaggiare, vestirci, riscaldarci, mangiare il pollo, e tutto il resto, un resto infinito, invece lo sappiamo, sono i grandi fondi d’investimento, i filantropi Stranamore alla Bill Gates, è il capitale finanziario che contiene l’industria fossile e petrolifera oggi in riconversione moralistica: un altro libro andrebbe imparato a memoria insieme a quello di Rampini, è quello di Carl Rhodes, “Capitalismo woke: come la moralità aziendale minaccia la democrazia”; i due saggi sono contemporanei, usciti all’inizio della scorsa settimana.

Non si può chiudere un servizio osservando che quanto all’Oktoberfest avviene “Con buona pace di chi pensa che il pollo sia troppo caro (…) Ma mala tempora currunt. E per salvare il clima, a qualcosa si dovrà pur rinunciare”: qui siamo alla connivenza con il determinismo autoritario dei professori Birkenmayer, qualcosa che sta perfettamente in linea col pensiero mediatico-finanziario infuso, irresponsabile ma privo di riscontri nella realtà: l’obiettivo delle emissioni zero da parte della Germania non è scienza, è pensiero magico, la CO2 non è velenosa, è uno dei composti della vita insieme all’acqua e al sole, tanto vale eliminare anche questi. Sono assurdità che si impongono per ipnosi collettiva, per isteria diffusa, senza l’ombra di un fondamento; poi, quando si torna indietro i danni sono già fatti e sono colossali: more solito, li paga “la gente” che è “abituata a fare sacrifici”, ma sacrifici inutili, folli, come il gregge che si lancia a sprofondo nel baratro.

Max Del Papa, 30 settembre 2023

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