Rassegna Stampa del Cameo

Pasqua 2020 come quella del ’45: la più bella della mia vita

La Pasqua 2020 è stata la più bella della mia vita. Come lo fu per mia mamma e mio papà (e i nonni) quella del 1945. Il pranzo di mezzogiorno di allora, lo ricordo solo perché fu il solito di ogni giorno, pane e minestrone, con la cotica domenicale destinata al nonno (lavorava alle Ferriere Fiat, all’altoforno 5, necessitava di carburante). A fine pasto, papà ci comunicò che presto la guerra sarebbe finita. Non sapeva quando; in effetti solo il 2 maggio gli americani attraversarono il ponte della Gran Madre, ed entrarono in piazza Vittorio, liberandoci. Ci spiegò perché ne era così certo: i figli della borghesia fascista, buttata nella spazzatura la cimice d’ordinanza, avevano indossato i pantaloni alla zuava di velluto e la giacca di fustagno, con fazzoletto rosso. Senza soluzione di continuità, si erano autonominati “partigiani”, passando, in un amen, dal nero al rosso. Si sarebbero vantati del loro antifascismo e del mito della Resistenza per tutta la vita, pur rimanendo, gratta gratta, quelli che erano prima.

Mio moglie è tornata a casa dall’ospedale dopo l’operazione al femore, per fortuna il rischio di essere “scremata”, e finire nei numerini delle ore 18 dell’imbarazzante Commissario, si è allontanato. Siamo finalmente tornati insieme, soli ma insieme, pur rimanendo a distanza di sicurezza. Ci facciamo reciproca stampella. Con guanti (vergini) ci siamo concessi una carezza. Le ho spiegato che alla nostra età, e in questo contesto anti vecchi, dobbiamo evitare ad ogni costo il “virus”. Verremmo immediatamente abbandonati, non certo dai medici, ma dal sistema. Quindi massima prudenza, e per il futuro, occhio, prima o dopo si paleseranno i rastrellamenti digitali per individuarci. Trovo commovente l’impegno che mia moglie mette, sia con il fisioterapista, sia nei compiti a casa, per reimparare a camminare. L’ammiro, perché una cosa è imparare a camminare quando hai una vita davanti, altro quando sei ai titoli di coda, e sarebbe più semplice sederti nella carrozzella, e lasciarti andare. Com’è cambiata la nostra vita in questi ultimi due anni!

Il grave carcinoma alla prostata che mi aveva colpito, con modeste speranze di vita, aveva assegnato a mia moglie il ruolo di crocerossina, in un percorso già segnato. I miei amici professori Dario Fontana e Umberto Ricardi, avevano sparato, con grande perizia, le due uniche cartucce che avevano a disposizione, allungandomi, non solo la vita, ma facendomi diventare il “paziente 6” nel Congresso internazionale di radiologia oncologica che ad agosto si terrà a Vienna. Ho avuto, infatti, il privilegio di scrivere io stesso la relazione che verrà letta ai congressisti. Incredibile, il carcinoma si è fatto asset! Ora, seppur con contratto a termine, tocca a me fare la crocerossina. Sono felice di farlo, anche se, in queste fasi iniziali, nella execution mi trovo piuttosto goffo. Meraviglioso è stato pure il pranzo pasquale preparatoci dall’amico F. usando solo prodotti locali di mare e di terra dell’estremo Ponente ligure: gamberetti di Sanremo appena pescati con fagioli di Pigna, Cappon magro.

Infine, è arrivata nella notte, da Bruxelles, una mail dell’amico di una vita, Roberto Zangrandi, con il regalo più bello, un pezzo straordinario, che gli abbonati a Zafferano.news troveranno pubblicato oggi con il titolo “Volevo chiamarmi Gustafsson”. Un pezzo, pieno di ironia, specie sugli euroburocrati. A volte mi chiedo, non è eccessivo che io li critichi così ferocemente? Trent’anni di Ceo capitalism ci hanno fatto diventare, spesso a nostra insaputa, tutti, me compreso, degli euroburocrati di fatto. Lo capisco, dobbiamo campare, e allora meglio maggiordomi che zombie sdraiati sul tappettino, con il reddito di cittadinanza come miraggio. Ci rendiamo conto che stiamo diventando i nuovi eunuchi della dinastia Xi? La mail di Roberto di accompagnamento al pezzo si chiudeva con un propiziatorio #NessunoCiScremerà.

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