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Perché è un errore parlare di Covid

L’impegno dei Cacciari e degli Agamben è utile o controproducente?

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Chiunque viva il proprio tempo non può non confrontarsi con l’insieme dei temi e dei problemi connessi alla pandemia, la quale, come è stato opportunamente osservato, è una sindemia, cioè una emergenza globale che investe non solo l’aspetto sanitario ma quello economico, politico, culturale, esistenziale, ecc. ecc. Si è trattato della classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, mettendoci di fronte a una crisi di senso o epocale che era già in essere, e che si lega sostanzialmente alla fine di un mondo (e quindi anche alle categorie con cui lo avevamo interpretato), nonché delle retoriche lo sorreggevano, e all’inizio di un’altra epoca che solo gli storici del futuro saranno in grado di definire lessicalmente e concettualmente.

Il Covid non è la “peggiore tragedia della storia”

Che si sia trattato, e si tratti, di una “goccia” sarebbe persino banale dirlo per chi ha un minimo di cultura storica. Tuttavia non lo si può dire perché, giustamente da un certo punto di vista, si viene accusati di cinismo, insensibilità, ed ogni nefandezza morale: non è forse vero che anche un solo morto va salvato, se è possibile farlo? Eppure, il dato permane, in sede storica e scientifica: di fronte a quanto causato dalle tante altre epidemie del passato, e alle tante altre tragedie generate dalla natura e dall’uomo (carestie, guerre, genocidi, e chi più ne ha più me metta), in quel vero e proprio “mattatoio” che per Hegel era la storia umana, Covid 19 è più o meno l’equivalente della puntura di un insetto (la quale anch’essa a volte può essere letale).

La prima epidemia senza Dio

Certo, questa epidemia è la prima che avviene in un mondo altamente interconnesso, globalizzato come si dice, e questo aumenta indubbiamente la paura (e tutto sommato è anche la ragione dell’inefficacia relativa di molte precauzioni classiche come l’isolamento e il distanziamento). Ma questa è anche la prima epidemia che avviene in un contesto di “morte di Dio”, compreso quell’ultimo Dio laico che era il Progresso. Certo, è una fortuna che abbiamo la Scienza, o meglio la Tecnica (la scienza ce l’abbiamo sempre avuta in quanto esseri umani), che ci aiuta come mai prima in passato. E i risultati si sono visti, indubbiamente, fra vaccini e cure via via più affinati. Ma, se solo pensiamo un attimo che sia la Scienza il nuovo Dio, il teatrino dei virologi in tv con le loro opinioni contrastanti e contraddittorie, ci fa in un attimo  capire, fatta la tara della loro buona fede, che la scienza più che darci verità non fa che eliminare degli errori (e non è poco). Senza più nessun lenitivo, o rassicurante palliativo, messi di fronte a un mondo che ci illudevamo che fosse sicuro ma che come sempre era relativamente e strutturalmente insicuro, c’è rimasto solo quell’enfatico circolo mediatico che stimola le nostre emozioni, confonde la nostra ragione, ma che pure connota nel bene e nel male le nostre democrazie.

La fine delle democrazie?

Tutti ne siamo succubi, compresi i politici che non possono che deliberare in pubblico e che, dipendendo dagli umori vaganti nell’etere o in rete, sono portati a deresponsabilizzarsi da ogni scelta, casomai affidandola ai Dati. Non c’è dubbio che la pandemia abbia messo sotto ulteriore stress le nostre democrazie, le quali semplicemente non funzionano più, e come era ormai già da tempo evidente hanno dovuto rompere in qualche modo quegli equilibri costituzionali e istituzionali su cui in ultima analisi si sono fondate in epoca moderna. È un dato di fatto: quel sistema, proprio il sistema che ha garantito all’Occidente quelle che forse sono le migliori performances, diciamo così, della storia umana, si è inceppato, anzi è imploso e lo teniamo in piedi già morto. Non potrà essere restaurato perché troppe cose sono cambiate e in fondo si è esaurita la stessa modernità in cui si incardinavano quei valori che il sistema garantiva e che per noi sono vitali (libertà e benessere, imperfetti forse, ma effettivi).

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