Caccia al tesoro

Perché vale la pena leggere questo libro

“Il Padreterno è liberale. Antonio Martino e le idee che non muoiono mai”: la recensione dell’on. Giuseppe Basini

Non ho mai incontrato personalmente Nicola Porro, lo conosco come notista politico, come conduttore televisivo e come intellettuale liberale, ma di persona non lo ho mai frequentato, nonostante la comune appartenenza ai liberali di destra e alcune antiche amicizie comuni, come Enrico Morbelli, fondatore della scuola di liberalismo, a cui Porro giovanissimo si iscrisse e Antonio Martino, il protagonista del suo libro sul Padreterno liberale. Ciò è dovuto, oltre che alla differenza anagrafica (io ero un giovane dirigente del Pli negli anni Sessanta di Giovanni Malagodi) al fatto che il mio mestiere di astrofisico mi ha condotto, pur mantenendo una posizione in Italia, a vivere e lavorare per più di un ventennio all’estero.

Non lo conosco eppure, leggendo il suo libro, mi è sembrato di conoscerlo da sempre. Non solo per il ritratto a tutto tondo che fa di personaggi, come Indro Montanelli con l’avventura del suo Giornale e Malagodi con la sua opposizione al centrosinistra, che sono stati tra i protagonisti anche della mia formazione politica, ma per la riproposizione di eventi, atmosfere e ricordi in cui mi identifico. Dall’Opinione, quotidiano dal mio compagno di scuola Arturo Diaconale, su cui scrissi il primo articolo nel 1992, a Gaetano Martino, padre di Antonio, cui dedicammo una piccola manifestazione di goliardi liberali per festeggiarne l’elezione a rettore della Sapienza, sono tanti gli incroci e le coincidenze che ritrovo nel libro, fino alla sorella Carla, non della destra berlusconiana (stava nel PLI di Stefano De Luca) ma grande liberale e grandissima signora.

Nel libro, agile, approfondito e di piacevolissima lettura, si delinea la personalità del liberale Martino attraverso le sue idee forti e le sue appartenenze, certo, ma anche con le sue idiosincrasie, il suo stile di vita, i suoi sentimenti. E anche qui ritrovo delle assonanze. Su Ronald Reagan, ad esempio, che fu per lui un punto di riferimento assoluto e a cui io ho dedicato il mio libro sulla libertà, trovo sorprendente che Porro ci racconti come la moglie nei ricordi abbia citato la commozione che colse Antonio nell’ascoltare il presidente americano, perché a New York a casa di Enzo Savarese, nell’udirlo in un’altra occasione, io ed Enzo fummo colti da una identica profonda commozione. Sempre su Reagan, conversando un giorno con Antonio, ricordai che, da studente di liceo, avevo formato con qualche amico un comitato di giovani per Barry Goldwater, dopo aver letto il suo libro Il vero conservatore (il che mi valse l’invito del comitato repubblicano ad assistere alla notte delle elezioni in un grande albergo romano) e che mi aveva molto colpito il discorso di investitura pronunciato proprio da Reagan. La reazione di Martino fu accesissima. Quel discorso, mi disse, è uno dei più importanti della storia americana, negli Usa, quando se ne parla, non si specifica dove e quando fu tenuto, ma si dice semplicemente “the Speech”, il discorso, perché tutti sanno subito a cosa ti riferisci. Sono cose che legano. Ecco perché capisco benissimo e condivido la grande stima che Porro ha di Martino.

Tutta la vita di Antonio è stata in difesa della libertà, dalla Mont Pelerin Society alle lezioni universitarie, fino all’azione in Parlamento, Martino è stato un gigante nell’elaborazione di un pensiero liberale che tenesse conto dei liberali della scuola austriaca e dei Chicago boys di Milton Friedman. È stato l’artefice primo di un liberalismo italiano con forti sfumature “libertarian”. Anche l’uomo Martino emerge chiaro nel bel libro di Porro, ottimista e allegro, deciso nelle sue convinzioni (mi ricordo una sua frase: “La moderazione nel difendere la libertà non è una virtù”) profondamente convinto che per amare gli altri bisogna poter amare se stessi e dotato di un certo spirito goliardico, che Porro dipinge molto bene (anche perché lo possiede anche lui).

Ma è l’economista filosofo, con la sua critica allo Stato-padrone onnipresente, agli oligopoli soffocanti degli algoritmi e al conformismo scemo del politically correct, che resterà nella storia. L’erede migliore, in Italia, di Benedetto Croce e Luigi Einaudi. Ho sempre pensato che solo i diritti individuali siano i veri diritti collettivi, perché di tutti e per tutti, mentre quelli che crediamo collettivi poiché fissati da un potere pubblico siano, in realtà, la visione del tutto personale e privata di coloro che governano quell’ufficio. Tutto il contrario di quello che decenni di infausto idealismo, col suo dogmatico mito hegeliano dello Stato “tutti noi”, ci hanno portato a pensare, contro la nostra vita e le nostre aspirazioni, contro la libertà nostra e di tutti gli altri. E Martino era del tutto d’accordo.

Un maestro Antonio Martino e la migliore dimostrazione la dà proprio Porro, perché quando si riesce a contribuire alla formazione di persone come l’autore di questo bel libro, vuol dire che non si è predicato invano. Leggetelo il libro dell’ottimo Porro e fatelo leggere, ne vale la pena. Voglio concludere con il punto, fondamentale per Martino, del libero arbitrio, che deve sempre permetterci anche di sbagliare, perché davvero esista la Libertà e lo voglio fare, visto che Porro chiama in causa Domineddio, con le parole di Padre Dante. Diceva l’Alighieri: “Lo maggior don che Dio per sua larghezza/ fesse creando ed alla sua bontate/ più conformato e quel ch’ei più apprezza/ fu della volontà la libertate”.

Giuseppe Basini, l’Opinione delle Libertà 12 aprile