La partita del gas si fa sempre più complicata. Gazprom ha riaperto North Stream 1, e questa è una buona notizia, visto che evita l’obbligo di razionamento immediato in tutta l’Ue. Tuttavia il freddo si avvicina, Bruxelles già chiede agli Stati di ridurre il consumo del gas da inizio agosto, i piani di risposta ad una eventuale crisi sono nei cassetti dei governi e il mercato corre nella speranza di riempire gli stock necessari a superare l’inverno.
In questa complessa sfida, fatta di approvvigionamenti, riduzione della dipendenza da Mosca e tentativi di diversificazione (vedi il viaggio a Algeri di pochi giorni fa del premier Draghi o l’accordo firmato dall’Ue con l’Azerbaijan), bisogna anche considerare gli errori del passato. E chiedersi: perché ci troviamo a questo punto?
Lo ha spiegato molto chiaramente il ministro della Transizione Energetica durante il suo intervento a La Ripartenza al Petruzzelli di Bari. “L’Italia consuma 76 miliardi di metri cubi all’anno di gas – ha spiegato Roberto Cingolani – Nel 2000 una buona fetta, più del 20%, era nostro e lo producevamo nei nostri giacimenti. Nel 2020 ne abbiamo invece prodotto solo il 3%. Lo abbiamo fatto per inquinare di meno e ridurre la C02? No: noi consumiamo ancora 76 miliardi di metri cubi di gas all’anno, ma quello che non abbiamo prodotto a casa lo siamo andati a comprare all’estero. Il danno è stato doppio: a livello ambientale non abbiamo migliorato nulla e anzi trasportandolo inquiniamo di più; a livello economico lo abbiamo pagato di più e abbiamo ridotto le opportunità di creare lavoro in casa nostra. Non è stata una grande politica”.