La sfida del Pnrr non è solo completare i cantieri per dotare l’Italia delle grandi opere necessarie a far ripartire il Pil, sostenere la digitalizzazione e la transizione ecologica, ma anche riconquistare la fiducia dei giovani italiani. A dirlo è uno studio curato da Unipol Changes e KKien sui Millenials e la Generazione Z, dalla quale emergono toni inaspettati. Certo c’è la consapevolezza che l’età dell’oro degli anni ’80 e ’90 sia alle spalle, ma malgrado l’ultimo ventennio assomigli alla trama di un film horror – dalla crisi del 2007 alla Brexit, dal Covid alla guerra in Ucraina – oltre sei ragazzi su dieci (63%) continua ad avere fiducia nel proprio futuro personale e lavorativo. Tanto da superare in questo “termometro dell’ottimismo” i propri genitori o nonni, che pur avevano goduto di un quadro macroeconomico certamente migliore dell’attuale.
Una grande cambiale
A dare forza alle nuove leve sono i miglioramenti riscontrati in fattori cardine per la società come i diritti, l’uguaglianza o la libertà, così importanti da controbilanciare i passi indietro accusati su altri fronti come gli ideali, la tenuta della famiglia e soprattutto la sicurezza del lavoro. Ecco perchè lo studio promosso da Unipol – basato su mille interviste ai giovani (18-34 anni) poi raffrontate a 543 interviste ad adulti (35-74 anni) – vede il Pnrr come una “grande cambiale”. Buona parte dei 190 miliardi erogati da Bruxelles nell’ambito del Next generation Eu infatti andranno restituiti, ma i costi ricadranno sulle nuove generazioni, che già ereditano un debito pubblico tra i peggiori dell’euro zona. Insomma sul Pnrr non si può sbagliare, anche perchè – aggiungiamo noi – lo scenario già fosco per la recensione alle porte è complicato dall’emergenza energetica e dalla de-globalizzazione che probabilmente si lascerà alle spalle la guerra in Ucraina. Insomma non ci sarà un’altra possibilità per risolvere i problemi strutturali del nostro Paese. In cima alle preoccupazioni dei Millennials e della Generazione Z c’è il lavoro, giudicato scarso e precario nell’offerta, oltre che sovente malpagato. Non per nulla, quello più ambito resta il posto a tempo indeterminato, meglio ancora se nel pubblico. Una fame di sicurezza che costringe a guardare con altri occhi anche la great resignation post-pandemica: negli ultimi 3 anni, metà del campione ha cercato con determinazione un’altra occupazione e il 40% l’ha cambiato. Alla base non c’è una scelta da bamboccioni, ma il tentativo di ottenere uno stipendio migliore, un lavoro più sicuro e soddisfacente. In sostanza le stesse ragioni che comportano il mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro, tra le aspettative dei giovani e i bisogni delle imprese, e quindi alimentano la fuga dei cervelli all’estero (oltre un milione nell’ultimo decennio).
Riconquistare la fiducia dei giovani
Tutto questo provoca un senso di diffusa incertezza e frustrazione tra i giovani italiani, come intrappolati tra il crollo della natalità e la difficoltà a creare una famiglia conseguenti al costo della vita e al poco propizio contesto che circonda le mamme che lavorano. Va poi detto che solo la metà del campione crede che il Paese riuscirà davvero a risolvere i suoi problemi in modo radicale. Ecco allora che la sfida del Pnrr è quella di riportare i giovani al centro della scena, con un cambio di paradigma che, oltre a favorire l’occupazione e i consumi, inneschi una fiducia diffusa verso le istituzioni e inverta la curva della denatalità. Perchè avere un popolazione meno anziana, oggi l’Italia è tra le peggiori in Europa, significa anche assicurarsi un maggior tasso di innovazione. Basti dire che oggi, sempre in base allo studio promosso da Unipol, quando si cerca una occupazione prevalgono invece lo stipendio e la tutela della vita privata rispetto alla realizzazione professionale. Insomma, più che inventori e start-upper, rischiano di diventare un popolo di abitudinari “travet”.
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