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Quei commercianti dimenticati dal governo

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L’emergenza Coronavirus non è solo sanitaria, ma anche economica. Tanti gli imprenditori, i piccoli commercianti e le partite Iva che mi scrivono per informazioni. Altrettanti quelli che si sentono abbandonati dallo Stato. Per questo, ho deciso di dar voce a questa parte del Paese spesso lasciata sola. In questo caso a Enza, Lodovica, Lucia, Monia, Marianna.

Gentilissimo Nicola Porro,

chi le scrive è un gruppo di commercianti, proprietari di piccole attività (per lo Stato siamo imprenditori) site in diverse realtà cittadine. Siamo i famosi negozi di vicinato.

Come gran parte delle attività del nostro settore, a causa del Covid-19, siamo state tra le prime ad ottemperare alla chiusura e saremo probabilmente le ultime a riaprire. Non siamo qui a dire che la nostra categoria vale più delle altre. Oggi più che mai siamo tutti quanti sullo stesso piano e abbiamo tutti quanti le stesse difficoltà, quello che ci lascia perplesse però è il modo in cui il mondo dei commercianti viene ancora considerato.

Noi commercianti al contrario dei vecchi luoghi comuni, non siamo certamente tutti evasori, non gonfiamo i prezzi, non giriamo con i macchinoni, non abbiamo sedi fiscali all’estero. Circa il 60% del nostro lavoro (se non di più) viene preso dallo Stato, il nostro è un lavoro come un altro, ma per noi è bellissimo perché l’abbiamo scelto. Osservo l’importanza di aiutare oggi più che mai i negozi di vicinato a ripartire per mantenere vivi i centri storici perché rappresentiamo le arterie di questo paese, nonostante siano ormai anni in cui le grandi catene hanno impoverito sia i centri città, ma soprattutto hanno sottratto risorse economiche e sradicato diritti del lavoro, senza parlare dei grandi colossi internet con i quali è praticamente impossibile lottare vista la tassazione irrisoria che hanno.

Con questa lettera vogliamo far conoscere quella che è la nostra vita reale, quella che ogni giorno ci troviamo ad affrontare. Tutte le difficoltà in un modo o nell’altro le abbiamo sempre superate. Oggi però posso dire che due mesi di chiusura in una situazione sicuramente emergenziale hanno prodotto danni inimmaginabili. Eravamo pronti per i saldi delle collezioni invernali e soprattutto eravamo già preparati per l’inizio di quelle primaverili, abbiamo emesso titoli a garanzia della merce arrivata (titoli postdatati) che nessuno ci aiuterà a coprire, perché sebbene tutti ci stiano invitando a richiedere finanziamenti per il famoso decreto liquidità, è anche vero che le banche non sanno ancora come muoversi, ma soprattutto non è detto che tutti possano averli perché la maggior parte degli imprenditori italiani lavora già con fidi o prestiti.

Non siamo qui a chiedere che sia lo Stato a doversi far carico dei nostri acquisti, dei nostri affitti, delle nostre utenze o del mancato incasso, ma vogliamo gli strumenti per poterlo fare quindi siamo a chiedere, non la sospensione, ma l’annullamento da marzo fino a dicembre 2020 di tutti gli oneri fiscali che avremmo dovuto sostenere. Chiediamo la non iscrizione dei titoli impagati da marzo fino a fine anno 2020 nel registro dei protesti. Chiediamo di poter contrastare le vendite online ad armi pari quindi chiediamo una equa tassazione nei confronti dei grandi colossi del ecommerce.

Siamo a chiedere la posticipazione, ma non solo, oggi causa Covid-19, del periodo dei saldi, in modo che siano realmente saldi di fine stagione e non come oggi che iniziano ancora nel pieno delle stagioni di vendita. Quindi posticipare quelli di luglio a fine agosto e quelli di gennaio a fine febbraio.

Altro discorso va fatto per la riapertura. Non è possibile ad oggi non avere una data certa, capiamo la difficoltà di interpretare i grafici, di capire come la curva si evolverà, ma se si può dare una data certa per le aperture di determinate aziende, è possibile fare fin da oggi un calendario così da dare la possibilità a tutti quanti noi di poterci organizzare.

Abbiamo bisogno di tempo per sanificare i locali, anche in questo caso occorre chiarezza in merito: perché la responsabilità di avere luoghi simil-sterili deve ricadere solo ed esclusivamente su noi piccoli commercianti mentre nelle grandi superfici alimentari, dove sebbene siano stati contingentati gli ingressi c’erano comunque gruppi di persone a stretto contatto e nessuno si è posto il problema di dover sanificare più di una volta al giorno quella struttura.

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