La notizia è grave e potrebbe andare peggio anche se nessuno se n’è ancora accorto o quelli che lo hanno fatto aspettano gli eventi prima di uscire allo scoperto. Per capire bene cosa sta accadendo nel Sinai bisogna andare con ordine e mettere in chiaro i termini della questione.
La pace fra Egitto e Israele, quella siglata con il trattato israelo-egiziano firmato il 26 marzo 1979 a Washington a seguito degli accordi di Camp David del 1978, prevedeva il ritiro di Israele dalla penisola del Sinai ma anche il divieto all’Egitto di schierare truppe corrazzate o costruire basi militari a ridosso del confine con Israele. Ma non è tutto perché gli Stati Uniti grandi sponsor dei colloqui, proprio per queste trattative nel 2002 Jimmy Carter fu premiato con il Nobel per la pace, sono i garanti degli accordi e del trattato.
Come dicevano gli antichi latini repetita iuvant soprattutto in questo caso perché anche se è passato tanto tempo i termini dell’accordo sono ancora validi e a nessuno è permesso infrangerli. Soprattutto in un momento come questo in cui il Medioriente può esplodere, nel vero senso della parola, in maniera devastante. Questo lo sanno a Gerusalemme, lo sanno al Cairo e anche a Washington. Ora che abbiamo ricordato i diritti e i doveri vincolanti che dal 1979 hanno permesso un periodo di calma controllata lungo il confine fra Egitto e Israele, veniamo a quello che sta accadendo in queste ore nel Sinai e le notizie non sono per niente rasserenanti.
L’Egitto ha giocato sporco e, nonostante figuri fra le nazioni impegnate a far decollare le trattative per il cessate il fuoco fra Hamas e Israele, continua a giocare sporco anche adesso. Ma anche qui bisogna andare con ordine e spiegare il motivo. Nel 2005 Ariel Sharon, sotto enormi pressioni interne ed esterne, decise di far adottare al suo governo la dottrina imposta dalla comunità internazionale e fece rimuovere tutti gli abitanti israeliani dalla Striscia di Gaza. Inizialmente la linea Filadelfia, per chi non lo sapesse è la parte di confine fra la Striscia e il Sinai egiziano, doveva rimanere sotto controllo dell’esercito israeliano ma l’Egitto si impegnò a vigilare in maniera rigida quella linea di confine assicurando lo Stato Ebraico che non sarebbero passati armamenti verso Hamas.
Sappiamo tutti come è andata a finire: sono stati oltre 150 i tunnel che univano Sinai e Striscia scoperti dagli israeliani durante l’ultima campagna militare. Alla faccia del controllo e della parola data. Il gioco sporco continua ancora e l’Egitto in questi giorni ha dislocato lì dove non gli è permesso, vicino al valico di Rafah e in barba agli accordi di Camp David, carri armati, mezzi corrazzati di vario tipo e apparati di guerra elettronica. Inutile dire che tutto questo sta facendo salire la tensione e visto ciò che sta accadendo proprio in quella zona, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi dovrebbe smetterla di gettare benzina sul fuoco perché se si tira troppo la corda c’è davvero il rischio di spezzarla.
Prima di prendere decisioni irreversibili che potrebbero mandare all’aria anni di tranquillità relativa ai confini, Israele ha ufficialmente protestato con gli Stati Uniti che sono i garanti degli accordi. A Washington stanno prendendo seriamente sia le minacce, anche perché la scorsa settimana il presidente egiziano ha detto parole poco distensive, sia le lamentele che fino a questo momento sono solo verbali anche se diverse divisioni corrazzate israeliane che avrebbero dovuto ritirarsi da alcuni punti della linea Filadelfia rimangono per il momento schierate.
Da una parte è vero che gli egiziani temono l’entrata dei cittadini di Gaza nel loro territorio, ma dall’altra movimenti di truppe corrazzate nel Sinai senza prima aver avuto regolari contatti con la controparte israeliana rischiano di far saltare il coperchio di una pentola a pressione che dal 7 ottobre 2023 ha superato tutti i limiti di guardia. La notizia buona è che al momento chi siede dietro la Resolute desk è Donald Trump che fa di testa sua e non il vecchio Joe Biden che agiva secondo i suggerimenti che Hussein Barak Obama gli faceva pervenire tramite l’apostolo Antony Blinken.
Trump, proprio lui, ha chiesto spiegazioni all’Egitto sulla presenza di tank nel Sinai e considerando che il presidente Al Sisi e il Re di Giordania saranno ricevuti subito dopo la visita del premier israeliano, c’è la speranza che questa situazione venga presto disinnescata perché, al contrario, potremmo ritrovarci in una situazione dove gli Usa si vedranno costretti a far rispettare con la forza, il trattato firmato nel lontano 1979 dalle parti lo prevede, ogni singolo articolo. Questo Netanyahu lo sa, ecco perché rimane in attesa, e lo sa bene anche Al Sisi che dovrebbe smettere di tirare la corda.
Michael Sfaradi, 5 febbraio 2025
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