L’ultima strategia proposta dal presidente Donald Trump per il futuro della Striscia di Gaza ha scatenato un ampio dibattito internazionale, un progetto che potrebbe trasformare radicalmente il volto della regione. La visione di Trump si focalizza sulla creazione di un nuovo scenario per i palestinesi: il piano prevede che gli Stati Uniti assumano un ruolo di primo piano nel governare e ricostruire la Striscia di Gaza, trasformandola in una “Riviera del Medio Oriente”.
Durante una conferenza stampa congiunta con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, Trump ha sottolineato il forte sostegno statunitense a Israele, ricordando gesti significativi come il trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, il ritiro dall’accordo nucleare iraniano e la promozione degli Accordi di Abramo durante la sua precedente presidenza. “Sei il più grande amico che Israele abbia mai avuto alla Casa Bianca”, lo ha elogiato Bibi. “Dici cose che gli altri rifiutano di dire e tutti restano a bocca aperta ma poi si grattano il capo e dicono: ha ragione”.
Il piano Trump–Netanyahu guarda anche alla normalizzazione delle relazioni tra Israele e l’Arabia Saudita, estendendo l’ambito degli Accordi di Abramo. Sebbene l’Arabia Saudita abbia condizionato il riconoscimento di Israele alla creazione di uno Stato palestinese, Trump sembra puntare più alla realizzazione della pace che alla creazione di nuovi stati.
La situazione umanitaria a Gaza è descritta come critica, con un urgente bisogno di ricostruzione a fronte della presenza di migliaia di ordigni inesplosi e strutture pericolanti. L’inviato per il Medio Oriente, Steve Witkoff, ha stimato che il processo di ricostruzione potrebbe estendersi da 10 a 15 anni, un arco di tempo ben superiore ai cinque anni anticipati dall’amministrazione Biden.
Trump propone il trasferimento dei Palestinesi in Giordania ed Egitto, sempre che vi sia la disponibilità di questi paesi ad accoglierli. “Spero che potremo fare qualcosa di bello – ha detto – talmente bello che non vorranno ritornare. Perché tornare? Quel posto è stato un inferno”.
Il piano ha sollevato reazioni contrastanti: da un lato, alcune fazioni e nazioni, tra cui Hamas e paesi come Giordania ed Egitto, si sono espresse in modo nettamente contrario; dall’altro, diverse parti vedono nella proposta un’opportunità per portare stabilità in un’area segnata da decenni di conflitti.
Trump immagina la trasformazione di Gaza in un’area residenziale e turistica di prim’ordine. Ma malgrado l’ottimismo del presidente per il suo progetto, la questione della creazione di uno Stato palestinese rimane complessa. Il presidente statunitense ha evitato impegni diretti su questo fronte, preferendo concentrarsi sul reinsediamento dei palestinesi e sulle potenzialità di sviluppo economico che ne deriverebbero.
L’approccio dell’amministrazione Trump, che include anche la fornitura di armi a Israele e il tentativo di negoziare un nuovo accordo sul nucleare con l’Iran, riflette una politica estera complessa e articolata, volta a riformulare il futuro geopolitico del Medio Oriente.