Esteri

Quel messaggio islamico in stazione segna la nostra resa

Negli annunci sui pannelli di King’s Cross con le frasi del Profeta non c’è niente di “strano”

metro londra islam © gagliardi tramite Canva.com

Negli annunci sui pannelli della stazione londinese di King’s Cross con le frasi del Profeta non c’è niente di strano, niente di sbagliato. Per la semplice ragione che a Londra comandano gli islamici: la loro minoranza, ormai prossima al sorpasso demografico, è già oggi assai più agguerrita e organizzata della componente indigena e, processo finora inedito nella storia delle migrazioni, questa penetrazione massiccia entra senza chiedere permesso, senza ringraziare, col piglio di chi considera tutto dovuto e niente basta mai. Ecco perché “andarci d’accordo”, secondo formula demenziale, ma indiscutibile, è strategia non solo perdente, non solo assurda, ma completamente lunare, figlia di una sconoscenza dei fatti e delle dinamiche che ha dell’agghiacciante. Londra è, per i musulmani di “nuova” generazione, “il posto dove si sta meglio al mondo”, più dei vari califfati ed emirati e Gaza ed enclave talebane, e si spiega: noi liberi di organizzarci, di imporre la nostra legge, voi liberi di assoggettarvi e se mai di scusarvi, di “chiedere perdono”.

Quando l’Europa sbatte contro qualche strage, o violenza, o molestia, o prepotenza di matrice islamica, invariabilmente si accusa lei, si costerna, implora comprensione: quale posto migliore, quale conquista più facile di quella agevolata da chi si fa conquistare? A Londra vige una giustizia, una magistratura a parte per gli islamici, con tribunali ad hoc che il Regno Unito consente, rispetta, sui quali non mette becco: e dovrebbero, dovremmo stupirci se nelle loro stazioni dei treni compare l’invito a pentirsi da Maometto?

La cosa poi è rientrata, per il momento: c’è stata una levata di scudi da chi non accetta questa curiosa forma di “inclusione” che in verità è annessione, per di più in periodo pasquale, con la scusa che “loro” vanno tutelati. Ma il ripensamento ha tutta l’aria di risolversi in un refolo, un fuoco di paglia da spegnere sotto messaggi e pressioni ancora più insistiti. Così funziona nell’Inghilterra fuoruscita dall’Unione Europea, al cui interno le cose vanno allo stesso modo. Dalla Francia al Belgio come nei Paesi del nord le enclave musulmane non si contano più e con esse la sistematica disarticolazione delle società originarie: non è armonizzazione, non è coesistenza, ma resa ignobile come quella predicata, da noi, dal vescovo lombardo Delpini e da molti pari grado che hanno definitivamente abiurato alla propria religione e invitano i fedeli a seguirli lungo la strada del rinnegamento.

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Ecco, in Italia il processo appare tanto per cambiare confuso, imbastardito: non siamo ancora, apertamente, a livelli londinesi e parigini, ma, a macchia di leopardo, nel caos più babelico quasi tutti gli scali ferroviari sono controllati da infiltrazioni malavitose esotiche e ci sono, a Milano, strade, arterie lunghissime come la via Padova ormai totalmente colonizzate, ci sono paesi dell’hinterland ugualmente assoggettati, a Pioltello è in atto una faida allucinante tra governo e una scuola, chiaramente orientata, chiaramente disponibile a vantaggi personali e incline a strategia di sabotaggio politiche, per cui il consiglio d’istituto al completo, comprese le famiglie all’unanimità, pretende, impone la “chiusura per Ramadan” e dice: se questo è fuorilegge, se le norme dello Stato non ce lo consentono a noi non importa niente e il ministro di Polizia può andare a scopare il mare. In nome di cosa? Di una inclusione illegale e psicotica?

Anche in Italia, soprattutto in Italia agire secondo intelligenza e prudenza sembra diventato un crimine, una mostruosità deforme, inguardabile. Nelle università dettano legge farabutti e fannulloni, anche solo nominare le parole “Israele” e “ebreo” è proibito, si assiste ad autentici pogrom; in compenso i pro Hamas – smettiamola di chiamarli pacifisti e sostenitori della Palestina – chiamano il cantante neomelodico napoletano Geolier e il rettore magnifico dice, alla maniera dello sconclusionato cattolicesimo consumistico da fine del cristianesimo: perché non dargli una possibilità?

Frase insulsa, di puro suono, riferita a uno che va a partecipare al festival di Sanremo con un volo personale, accompagnato da una fidanzata ventenne che sfoggia borse da migliaia di euro, uno che infarcisce le sue filastrocche e suoi video di allusioni rivedibili, come dice Maria Luisa Iavaronesu armi, droga, sesso, sessismo e sostegno alla criminalità organizzata”, poi appena sfiorato un successo sul quale si potrebbe discutere e magari pure indagare, proclama: bene, mi sono pentito, non sparo più dal balcone. Una possibilità a Geolier? Per fare che?

Anche lui manda messaggi ecumenici, come il Profeta da stazione e, allo stesso modo, il modo dei Cecchettin, degli opportunisti da fine impero, esorta: pentitevi, vergognatevi di voi stessi, quello che sono io, che ho fatto, che ho detto non conta, ma voi umiliatevi. E questo processo abbastanza miserabile è fatto di cose che si collegano, si intersecano: i rapper neomelodici a dare lezioni di camorra e di legalità nelle università dove si sostiene Hamas i cui messaggi affiorano dai pannelli delle stazioni europee. In quella romana di Termini sono comparse certe scritte inquietanti, dalla suggestione offensiva: “Siete insetti”. Pare fosse una pubblicità di un network televisivo, ma, nell’incertezza, molti si sono turbati perché era facile vederci il disprezzo che l’Islam di conquista rivolge a chi lo accoglie già in ginocchio, pronto a farsi abusare e disprezzare. Con ogni ragione, perché chi rinuncia alla propria esistenza e dignitosa esistenza è spregevole e chi ne approfitta ha ragione di sottometterlo umiliandolo in ogni modo.

Max Del Papa, 26 marzo 2024

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