Politica

Quel tonno di Toninelli è peggio di Chiara Ferragni

Danilo Toninelli tonno

Al lettore debbo una confessione spassionata. Quando, ieri, la redazione mi ha rilanciato le incredibili dichiarazioni ittiche di Danilo Toninelli, immediatamente il cervello si è acceso cercando le formule più perculanti: adesso lo distruggo con un bombardamento di ironia. Già, ma come fare quando la realtà del ridicolo ci supera? Poi il calo delle forze, effetto di cure pesanti in atto, mi è venuto in soccorso. E mi ha salvato. Perché qui, a differenza di quanto stanno facendo tutti, non è questione di scherzare, qui la faccenda non è ridicola: è indecorosa, è indegna; fa schifo.

Sostiene Toninelli che “prima”, cioè ai bei tempi del potere ministeriale, “mangiavo ogni giorno salmone, adesso non posso permettermi neanche il tonno”. Incredibile, oscena, pornografica dichiarazione. In più, si costerna per quanto è aumentato il tonno nel paniere Istat. Perché Danilo non prova con la farina di grilli, o di Grillo, che è tanto buona, nutriente e alla portata? Ne derivano alcune scoperte, che se mai sono certezze.

Tonni-nelli, come tutti quelli del M5S, era penetrato in Parlamento per bonificarlo, volevano “aprirlo come una scatola di tonno”, ma il tonno era per loro. Anzi, si aspettavano ostriche, salmone e champagne e, effettivamente, erano giunti ad arraffarle. Questo, e nessun altro, era il vero intento di un’orda di avventurieri che moraleggiavano al grido “uno vale uno”, volevano muovere la guerrasanta alla povertà, ostentavano passaggi in autobus al posto delle auto blu, predicavano decrescita felice, improvvisazione al potere, fantasia da cittadinanza, lottavano contro il doppio mandato, contro la politica a vita, contro l’opacità nei rimborsi e tutta una serie di altre magnifiche faccende: tutte rinnegate, divorate come tonno una dopo l’altra.

Il partito pauperista fondato da un latifondiero, un comico senza più battute che contava le sue residenze come un tycoon tra Liguria, Sardegna e magari località più esotiche. Un movimento (qualsiasi cosa volesse dire) sempre inseguito da pesanti aromi provenienti dai peggiori bar di Caracas, di Teheran, di Pechino, di Mosca, di Gaza. Dove i dittatori erano straordinariamente popolari, mentre la vecchia democrazia rappresentativa veniva maledetta con calunnie da Terza Internazionale. E Tonni-nelli esultava, in quel modo patetico, farsesco, da ultrà, credendo veramente che i Benetton del ponte Morandi avrebbero reso conto di un crollo che, per inesistente manutenzione, aveva portato alla distruzione di 43 persone; mentre il suo presidente del Consiglio evidentemente non lo ascoltava, preferendo concentrarsi su una azione governativa al limite del patafisico, anzi del surrealistico, che avrebbe provocato un depauperimento, tutt’altro che felice, di 200 miliardi in pochi mesi e i Benetton già negoziavano con lo Stato una buonuscita di 8 miliardi e passa, nella totale franchigia da ogni possibile responsabilità penale.

Adesso l’ex ministro – perché era un ministro, questo – si lamenta da un programma radiofonico personale, sul web: constatata la mala parata, ovviamente smentisce, ma ci sono gli stessi ascoltatori che lo contro-sbugiardano. Ancora una volta, in perfetto stile grillesco. Eccolo qua il movimento 5 stelle in purezza, eccolo il Toninellismo cristallino: uno che s’incazza, non si capisce poi con chi, perché non può più fare la bella vita che faceva da ministro dei poveri e non sa più quanto costa la scatoletta. Si rivolgesse al fondatore, che sui conti sta sempre molto attento. Tonni-nelli è tornato a fare l’assicuratore, evidentemente gli affari sono macilenti: ma chi è che si farebbe stipulare una polizza da uno così?

E del resto con chi ce l’ha? Poteva farsi furbo e riciclarsi come cantore delle libertà progressive, modello Di Battista, o farsi nominare mina vagante nel Golfo, l’uomo giusto al posto giusto nel momento giusto proprio, grazie alla grettezza livorosa di un banchiere trombato al Colle. Eccola qua, il movimento che doveva cambiare il mondo, e il suo organetto di riferimento non vedeva mai niente, garantiva, moraleggiava, lucarelleggiava, erano tutti impegnati a dare degli slurp a tutti mentre loro, loro procedevano ventre a terra sotto i deschi del nuovo potere e, grazie ai due impresari televisivi che si spartiscono la comunicazione totale in Italia, si infiltravano tutti i network pubblici e privati. Eh, gli indipendenti a stelle, dalla schiena dritta, ma più per il colpo della strega.

Ma sì, eccola qua la parabola grillarola implosa in una Gaza di faide. Col santone che ora si palesa con una cazzarola sulla testa, ora difende la privacy delle sue ville, lui, profeta della campana di vetro, della trasparenza palettara, vindice, che non risparmia nessuno. Quasi nessuno. E adesso le facce ricciolute del potere che fu si lamentano perché non possono fare più la bella vita, unica missione possibile che avevano adottato. Noi consideriamo Chiara Ferragni come una nuova Wanna Marchi, ma questi sgangherati influencer della sottopolitica la rendono, al confronto, degna di Madre Teresa. Una simile accozzaglia di cacciatori di dote era arrivata dappertutto, votata, sospinta da un italiano su tre. No, dico: 1 – italiano – su 3! E qui davvero è inutile, patetico additare i Tonni-nelli, i Grillo, il Padreterno e tutto. È proprio vero, i grillini siamo noi, li abbiamo voluti noi, gli ha creduto disperatamente un popolo che voleva metterseli in saccoccia e se l’è presa, come sempre, in culo. Un popoulace che non guarirà mai dalla sua indomabile propensione al buffonesco, e al tragico.

Max Del Papa, 16 gennaio 2023

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