Rula, l’intolleranza radical chic a Sanremo

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Rula rules. Anche se non si capisce cos’abbia mai fatto la Jeberal per finire a Sanremo. NCS, non ci siamo, come direbbe il Dogui: la ricordiamo anzitutto per quella memorabile definizione, “gnocca senza testa” scappata da un fianco (pare) a Giulio Sapelli durante una diretta da Santoro nella quale la versatile “giornalista e scrittrice palestinese con cittadinanza israeliana naturalizzata italiana”, Wikipedia dixit, si agitava più del solito, che è tutto dire. Rula, infatti, ama il contraddittorio in cui parla solo lei: alza la voce fino a stridori aquilani simili a schegge di vetro, si lancia in monologhi torrenziali, poi, se qualcuno osa ribattere, “sì ma io…”, “ecco vorrei dire che”, lei s’incazza e le strida diventano apocalittiche: “sessista! razzista! intollerante!”.

È precisamente il concetto di tolleranza che alberga a sinistra, specie quella naturalizzata italiana: altrove attacca meno, si guardi, per credere, una ospitata da Bill Maher, celebre comico e conduttore americano, che in poche battute demolì senza pietà e senza rispetto la logorroica Jeabral. Cosa che di sicuro a Sanremo non capiterà, perché il verbo della religione ruliana non verrà contraddetto da anima viva. Eppure non si capisce qual sia il curriculum che la porterà, secondo le ultime indiscrezioni, fin sul palco dell’Ariston: i fratelli grillini, i fratelli piddini, i carbonari, i “masoni”, come diceva Mario Brega, o i nasoni, nel senso di Amadeus, che l’ha fortissimamente voluta. E per dir che? I sovranisti, che son cattivi come rospi e diffidenti di natura peggio di usurai, paventano i soliti stopposi pistolotti “contro”: contro i maschi, gli israeliani, la destra, il fascismo, il che, rivoltando la prospettiva, si traduce in favore del globalismo, l’integrismo, il migrantismo, il femminismo, tutto in frittomisto, tutto a decibel da rottura di lampadari, e non solo quelli. C’entra, con Sanremo? Negativo!, sbotterebbe il Dogui. Ma Rula rules, comanda lei, aveva minacciato di privarci della sua presenza sine die e invece ce la ritroviamo sul palco più nazionalpopolare che c’è. La dama globalista.

Non si capisce come ci sia finita. Non si capisce neppure come non le secchi venire ridimensionata al ruolo di velina, di valletta (perché questo è), proprio lei, con una così vertiginosa opinione di se stessa. Non si capisce quali esperienze pregresse di conduzione abbia, né quali competenze musicali possa vantare. E men che meno si capisce l’appeal: passi per una Chiara Ferragni, una Diletta Leotta, una Belen, sempre sulla bocca di tutti, ma insomma questa Rula non è che poi brilli per popolarità, è un po’ una Rula chi. Insomma Sanremo poteva benissimo fare a meno di lei. Ma il Festival, come il resto della televisione, non è questione di merito ma di appartenenza, dunque nessuno scandalo. Una cosa è certa, Rula, dama globalista, le canterà chiare a tutti e in particolare a quei puzzoni di sovranisti.

E per chi non se ne fa una ragione, due son le cose: o il telecomando più veloce del west, o un paio di possenti tappi per le orecchie foderati. Perché Sanremo è Sanremo, Rula rules e la stampa mainstream, che fa la sardina in barile e l’opposizione all’opposizione, ha già cominciato il fuoco di sbarramento: chi obietta qualsiasi cosa è un infame, un terrorista, un leghista, vietato alzare il sopracciglio, vietatissimo chiedersi che c’azzecca Jeabral con la rassegna di canzonette, come ci sia arrivata, è sessismo, anzi è fascismo bello e buono, cioè brutto e cattivo. E allora, Bella Ciao, viva l’Italia, l’Italia globalista, viva il Sanremo che se la canta e se la suona, viva i sermoni di Rula, che sogno sarebbe vederla introdurre il Sardina Mattia, e perché no Greta, Carola, Liliana e Mimmo: questo sì che sarebbe un Sanremone, una edizione da incorniciare, un settantesimo coi botti.

Ne abbiamo bisogno: Rula è la coscienza che ci manca, la sinistra riparta da lei. O, come ha scritto qualcuno molto intelligente di su Twitter: “Grazie #Amadeus per aver scelto #RulaJebreal, stai mandando in tilt i cervelli dei razzisti perché è una donna, straniera, che ha detto chiaramente che l’Italia è un paese fascista. Spero faccia qualche discorsetto durante il festival”. Il buon Festival si vede dalla vigilia, anche se ci pareva d’aver capito che Rula non è affatto straniera, è naturalizzata italiana, e comunque è una risorsa. Ma che ne sa, per dire, uno come Marco Gervasoni, “docente universitario noto” scrive l’Ansa “per avere parlato male di Liliana Segre”? Pare una boutade d’avanspettacolo, ma la verità è che Marco Gervasoni è una carogna: “Aspettatevi un Sanremo pro clandestini, pro islam, pro lgbt, pro utero in affitto, pro sardine, pro investitori d’auto (purché con suv)”.

Daniele Capezzone, due volte carogna: “Mi par di capire che con i soldi del canone #Rai #RulaJebreal potrebbe essere incaricata a #Sanremo di spiegarci quanto le facciamo schifo. Se poi qualcuno si lamenterà sui social, seguiranno accuse di: -razzismo -sessismo – machismo. Pure nel 2020, ci avete già rotto i….”. Lo vedi, allora, che se la cercano? Lo vedi, che ha ragione Zingaretti, bisogna inaugurare il Sanremo dell’amore? Perché facciamo tutti un po’ schifo, diciamolo una buona volta, noi non ruliani: siamo gnocchi senza cuore, rancidi e rosiconi e le istruzioni dell’Istituto Luce Globalista son già chiare, le veline di regime bell’e diramate: “negare, negare sempre” (come dice ancora e sempre il Dogui) che Rula si sia impaperata, che sia fuori posto sul palco dell’Ariston, che non sappia presentare, semplicemente perché non è il suo mestiere; invece, rimarcare la sua coscienza civile, il suo impegno, la sua eleganza cosmopolita, la sua militanza in favore dei “più deboli”, in Italia e in Medio Oriente.

E mai, dico mai chiedere quanto ha preso dalla Rai, televisione dello stato italiano razzista e sessista. Son discorsi da meschini, da poveracci. Rula ci esalta, perché è la vera libidine del Festival. Rula, l’orchestra, e sei in pole position.

Max Del Papa, 31 dicembre 2019

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