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Salvini, ancora una volta scendono in campo le procure

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Lascio da parte il merito della questione, solo per un momento: su questo – semplificando molto – sono possibili tre atteggiamenti.

1) Si può essere d’accordo con Matteo Salvini sia nella sostanza (linea dura sull’immigrazione) sia nella forma (linguaggio altrettanto forte): è il caso di moltissimi italiani, non solo del 17% che ha votato Lega il 4 marzo scorso.

2) Oppure si può essere gravemente in dissenso da lui: è il caso dei molti italiani (minoranza, ma piuttosto consistente) favorevole a una larga accoglienza.

3) Oppure (minoranza estrema, alla quale appartengo): si può essere assolutamente concordi sull’obiettivo del Ministro degli Interni (giro di vite contro l’immigrazione illegale) ma desiderosi di un linguaggio diverso e – sarà impopolare dirlo – anche di una proposta in positivo sull’immigrazione regolare. Da anni, nel mio piccolissimo, mi sforzo di indicare il sistema australiano (citato questa settimana da Salvini: molto bene) e quello canadese. Con il primo (“fermare le navi per fermare le morti”) si possono evitare arrivi illegali e indiscriminati. Con il secondo si può accettare non solo una quota (limitatissima) di immigrazione regolare, ma addirittura predefinirne la tipologia, legandola alle esigenze del mercato del lavoro italiano (esempio: quanti lavoratori servono per l’agricoltura, quanti infermieri, quante badanti, ecc), in modo da garantire anno per anno un ragionevole e certo assorbimento di chi arriva, nel reciproco interesse. In altre parole, per “scegliere” l’immigrazione in modo selettivo, anziché subirla indiscriminatamente.

Ma oggi, con Salvini indagato, la discussione di merito va messa da parte.

A mio personale avviso, comunque la si pensi sul merito delle sue scelte politiche (incluso il caso della nave Diciotti), l’idea che – un’altra volta: come con Craxi, come con Berlusconi – scendano in campo le procure, che l’opposizione si metta al traino del partito dei pm, che ci sia un ennesimo uso politico della giustizia, è semplicemente repellente.

Chi è contro Salvini ha il dovere di batterlo alle elezioni, di trovare argomenti migliori, di convincere più elettori, non di invocare procure e manette: mai troppo sollecitate, peraltro, contro
scafisti e trafficanti di persone.

Non c’è da fidarsi di chi, in queste ore, spaccando il capello in quattro, parla di indagine come “atto dovuto”. Certo, esiste l’obbligatorietà dell’azione penale: ma anche i bambini sanno che tempi e modi di una indagine (e del suo annuncio) sono sempre voluti, non dovuti.

Mentre scrivo, non so se Salvini saprà volgere a suo favore l’attacco che subisce, o se a beneficiarne saranno i suoi avversari. Starei per dire che non mi interessa. Quel che è grave è che, ancora una volta in trent’anni, l’opposizione si nasconda dietro e sotto le toghe.

Daniele Capezzone, 27 agosto 2018

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