Politica

Ma Santanchè non deve dimettersi

santanchè

Il discorso su Daniela Santanché è semplice semplice, facile facile. Cosa cambia tra ieri e oggi? Nulla. Sì, certo: il ministro del Turismo è stato rinviato a giudizio nel caso Visibilia. Embé?

Che Elly Schlein chieda le sue dimissioni, e che lo stesso facciano gli altri partiti dell’opposizione, è purtroppo un vecchio vizio italiano in cui spesso cade anche il centrodestra: usare la leva giudiziaria per mettere i bastoni tra le ruote al nemico politico. Ma la Costituzione e la civiltà giuridica vogliono che Daniela Santanché era innocente ieri esattamente come lo è oggi. Il fatto che adesso un giudice preliminare abbia certificato banalmente l’esistenza dei presupposti per celebrare il processo non modifica granché la sostanza: tutto l’ambaradan, che inizierà a metà marzo e andrà avanti chissà quanto, può concludersi, con la stessa probabilità, in assoluzione o condanna. 50-50.

Non stiamo qui valutando il caso giuridico, sia chiaro. Ne parleremo semmai altrove. Non diamo per scontato che Santanché non abbia commesso ciò di cui è accusata allo stesso modo in cui non mettiamo la mano sul fuoco per la sua colpevolezza. Qui parliamo di un banale principio democratico: nessuno, neppure il peggiore dei balordi, può essere costretto alle dimissioni da una carica pubblica finché è tecnicamente innocente. E su Santanché non si è ancora neppure espresso un giudice di primo grado, figuriamoci la Cassazione.

Certo il mezzo silenzio di FdI, che non ha granché difeso la “sua” ministra, pesa. Pesa eccome. Ma qundo il Pd sostiene che “saranno i tribunali” ad accertare “le responsabilità penali”, ma “è evidente che la ministra non possa rimanere al suo posto per una questione etica e di responsabilità politica”, appare chiaro che siamo un Paese morto. Morto di giustizialismo. Come può Santanché essere considerata indegna al ruolo da un punto di vista “etico” e “politico” se nessuno ancora sa se ha commesso ciò di cui è accusata? Siamo forse alla polizia morale?

Dunque Santanché non deve dimettersi. Resista, a dispetto delle pressioni (anche in FdI). Perché in un mondo normale la magistratura indaga un ministro, si celebra il processo, la politica attende e solo all’accertamento di eventuali responsabilità si domandano le dimissioni o si presentano mozioni. Non prima. Ma noi, purtroppo, non siamo un Paese normale.

Giuseppe De Lorenzo, 17 gennaio 2025

Nicolaporro.it è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati (gratis).