Ennesimo dolorosissimo schiaffone in faccia alle opposizioni. A regalare un altro cocente dispiacere alle italiche sinistre questa volta ci ha pensato la Corte costituzionale, stabilendo la non incostituzionalità dell’abrogazione dell’abuso d’ufficio voluta dal governo Meloni.
L’attesissimo verdetto della Consulta arriva al termine di una camera di Consiglio che ha affrontato le questioni di legittimità costituzionale sollevate da quattordici autorità giurisdizionali, tra cui la Corte di cassazione, relative all’abrogazione del reato di abuso d’ufficio. Nel merito, la Corte ha ritenuto ammissibili le sole questioni sollevate in riferimento agli obblighi derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (la cosiddetta Convenzione di Merida), ritenendo altresì che dalla Convenzione non sia ricavabile né l’obbligo di prevedere il reato di abuso d’ufficio, né il divieto di abrogarlo, ove già presente nell’ordinamento nazionale. “La motivazione della sentenza sarà pubblicata nelle prossime settimane”, fanno sapere dalla Consulta nella nota che annuncia la sentenza. In ogni caso, motivazioni a parte, la decisione della Corte demolisce in un sol colpo la fuorviante narrazione costruita ad hoc da opposizioni, Anm e manettari di vario ordine e grado, intenti da mesi ad appicciccare addosso ai rappresentanti dell’esecutivo di centrodestra l’infame etichetta di “amici dei corrotti”, ma ora sonoramente sbugiardati dalla nota della Consulta.
Dopo un trentennio di populismo giudiziario in cui il “timore della firma” ha spesso prevalso bloccando l’attività di sindaci e amministratori locali, la riforma varata dall’esecutivo, e ora avvallata anche dalla Corte costituzionale, rappresenta un importante passo in avanti per il nostro paese in senso liberale e garantista. Il tutto, con buona pace di una sinistra illiberale e iper-giustizialista che proprio non ce la fa ad affrancarsi dalle solite vecchie logiche forcaiole di manipulitista memoria.
Salvatore Di Bartolo, 9 maggio 2025
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