Società

Se la libertà è il lockdown selettivo, ne facciamo a meno

Le regole sanitarie obbligatorie hanno creato un clima sociale terrificante. Perché siamo davanti a un modello difficilmente sostenibile…

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Oggi, a distanza di quasi due anni dall’inizio della pandemia, si continua a parlare di nuove restrizioni della libertà. Questa volta però estese in teoria solo alle persone ormai definite e categorizzate come “no vax”. Ma di quale libertà stiamo parlando?

Apriamo innanzitutto una parentesi trattata pochissimo: “non esistono i no vax, i pro vax, i free vax, i negazionisti, i no pass, ma esistono i cittadini”. Attaccare un tipo di etichetta ad una persona significa catalogarla ed ovviamente discriminarla, perché ogni classificazione è sempre divisiva e spesso anche offensiva. L’essere umano dovrebbe essere ascoltato e non catalogato. Ad esempio, quelli definiti in maniera semplicistica e sprezzante come “no vax”, includono cittadini desiderosi di scegliere in che modo curarsi senza necessariamente essere contrari al vaccino, così come i pro vax potrebbero ritenere utile l’uso del vaccino come terapia preventiva, ma non essere favorevoli allo strumento del green pass e così via.

Etichettare un singolo sul piano comunicativo, rischia di indurre molti nell’errore di pensare che il gruppo rinchiuso in una determinata categoria, non sia più un cittadino con i suoi diritti e doveri e quindi destinato a subire trattamenti diversi rispetto ad altri soggetti privilegiati. In tal senso è utile riportare il testo presente nell’articolo 3 della nostra Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” A questo punto sorge una domanda spontanea: “come si coniuga la diversità di trattamento dei cittadini, cioè lasciare liberi alcuni e rinchiudere altri con il rispetto dell’articolo 3 della Carta Costituzionale?”.

Altra questione. Di quale libertà parliamo? Dopo l’introduzione di misure restrittive come il lockdown, il distanziamento sociale, il divieto di assembramento, le mascherine obbligatorie in ogni luogo (praticamente era vietato tutto, tranne lavorare o spostarsi per motivi di necessità o salute tramite l’autocertificazione), come soluzione per eliminare questa situazione così opprimente è stato proposto il vaccino. Bene. A che punto ci troviamo oggi dopo aver vaccinato la maggioranza degli italiani? Si ipotizza la reclusione dei non vaccinati che sono una minoranza risibile, e la sedicente garanzia di libertà dei vaccinati che saranno costretti a vivere con il green pass, le mascherine obbligatorie al chiuso, il cambio di zone a colori nelle regioni, gli eventi con capienza limitata ed altro ancora. A cosa è servito vaccinare quasi tutti se restano le restrizioni attivate nella fase iniziale della pandemia. Cosa è cambiato e soprattutto che vita sociale è mai questa?

Di questa libertà si può fare anche a meno se proposta come “nuova normalità” e nuovo stile di vita, dove esiste una popolazione a volto coperto che è costretta a vivere costantemente con la paura di ammalarsi che porta inevitabilmente a confrontarsi nell’ uscita sociale sempre sullo stesso tema. La vita sociale significa spensieratezza, aggregazione, incontrarsi per realizzare progetti e fare impresa. Ma con queste modalità sul piano psicologico tutto questo viene meno, perché vivere in un contesto di regole sanitarie obbligatorie crea un clima sociale terrificante, dove ogni individuo ha paura dell’altro, dove trapela il paradossale messaggio che per vivere bisogna obbligatoriamente essere sani, dove è vietato ammalarsi e forse anche morire.

Questo modello non è sostenibile. La vita non può essere messa in sicurezza, perché ad ogni nascita subentra una morte inevitabile. In questo le religioni possono essere d’aiuto dal punto di vista teologico e filosofico, perché insegnano a non temere la morte, anzi ma di considerarla un passaggio ad un altro piano di vita ed esistenza.

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