La follia della dittatura cinese

Shanghai, il “modello cinese” delle prigioni quarantena

Vigilanza capillare e lockdown senza cibo per 26 milioni di abitanti

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Mentre George Orwell scriveva la sua celebre opera “1984”, non avrebbe potuto pensare che, settant’anni più tardi, quella realtà fosse così vicina alla sua fantascienza. I caratteri totalitari, che il grande scrittore britannico descriveva, raccontava e criticava con la sua penna distopica, paiono più che mai attuali nella Shanghai cinese del 2022. La macchina del Grande Fratello di Xi Jinping è costituita da cani-robot, droni, case sigillate con lucchetti, bimbi strappati dalle proprie famiglie perché positivi, magari anche asintomatici. L’intera struttura organizzativa permette la capillare vigilanza di 26 milioni di abitanti rinchiusi, segregati, privati della loro vita sociale.

Shanghai peggio di Wuhan

I contagiati non possono rimanere in quarantena nelle loro case. Per ordini del governo centrale, devono essere trasferiti in strutture apposite, presumibilmente adibite alla circoscrizione del contagio. Il blocco del settore logistico sta causando notevoli difficoltà nel ricercare acqua e cibo nei supermercati online; i medicinali scarseggiano; in alcune zone della città, sono iniziate le prime rivolte. Shanghai 2022 rappresenta uno spettro ancora più inquietante di Wuhan 2020. Non solo perché, a distanza di più di due anni, stiamo ancora raccontando nuovi casi di quarantene, restrizioni e smanie da “Covid zero”; ma, soprattutto, perché le nuove misure adottate dal regime di Xi manifestano più che mai i tratti di un confinamento. Se cerchiamo sul dizionario il vero significato della parola “confinamento”, non denotiamo una semplice – seppur sempre preoccupante – “limitazione”. Piuttosto, si parla di relegazione, segregazione, reclusione. Insomma, si tratta di una formula con una carica emotiva ben più intensa, nonché ben più liberticida e autoritaria.

“Condizioni igieniche pessime”

Ecco, le misure che la Cina comunista sta applicando, calzano a pennello. Gran parte dei media nazionali italiani hanno riportato il racconto di Alessandro Pavanello, produttore musicale di 31 anni, chiuso da alcuni giorni in un centro espositivo a Shanghai, dopo essere risultato positivo al Covid. Egli parla di “condizioni igieniche pessime”, dove “non ci sono docce, ciascuno ha un catino per lavarsi, tutti tossiscono e sputano in un grande secchio”. Un lettore qualsiasi potrebbe presumere che queste scene avvengano nelle trincee o nelle zone assediate dell’Ucraina. E invece no: è la vita di uno dei più grandi fulcri economici mondiali, di un Paese che molti politici, osservatori ed analisti elogiavano sotto l’eloquente formula “modello cinese”.

In nome della vita, si è limitata la vita. In nome della libertà, si sta limitando la libertà. Propter vitam vivendi perdere causas ricordava il grande poeta romano Giovenale. Per salvare la vita, gli esseri umani perdono le cause che rendono quella vita degna di essere vissuta. Lo scrittore Marcello Veneziani, inoltre, evidenziava come l’esperienza che abbiamo vissuto con il Covid, e che i cinesi stanno tutt’ora vivendo alle estreme forme, non dovrebbe neanche essere definita “vita”; piuttosto, la parola adatta sarebbe “biologia”: la disciplina che si occupa delle semplici regole che disciplinano l’esistenza dei viventi, senza alcun rischio calcolato.

Dittatura comunista

Le misure restrittive apocalittiche vengono attuate in una città in cui i positivi sono poco più di 26 mila, di cui circa 25 mila asintomatici. I morti registrati ieri sono solo 7. La possibilità di convivere con un virus che, grazie ai vaccini ed alle continue mutazioni, diventa sempre meno letale, pare essere l’opinione proibita in Cina, nonché la più politicamente scorretta in Occidente, almeno fino a poche settimane fa. Nel frattempo, la polizia governativa cinese intima i cittadini a “combattere la pandemia con un cuore solo”. Per tutti coloro che dovessero violare le disposizioni, le autorità garantiscono un trattamento “in conformità alla legge da parte degli organi di pubblica sicurezza. Se costituisce reato, saranno indagati a norma di legge”, si legge in una nota.

A Shanghai, la Cina ha presentato il vero lato di una dittatura comunista. Il volto dell’unanimismo, del totalitarismo, della disperazione; troppe volte mascherato da un’economia vibrante, in continuo sviluppo, e da una classe dirigente occidentale che strizza l’occhio ad un sistema intrinsecamente comunista. Il Dragone ha posto le basi affinché le misure anti-Covid diventino un nuovo credito sociale, odierne forme di controllo decisamente più repressive ed invasive della sfera personale. Chissà se qualcuno avrà ancora il coraggio di plaudire a quel modello…

Matteo Milanesi, 15 aprile 2022

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