Cultura, tv e spettacoli

Sinistra sotto Zoro

Cultura, tv e spettacoli

Se c’è uno strumento migliore del fascistometro di Michela Murgia è Propaganda Live condotto da Diego Bianchi ogni venerdì sera su LA7. Diego Bianchi, detto Zoro, è riuscito a raccogliere gli spettatori che nel primo Fabio Fazio vedevano un giardino dell’Eden, un Giardino dei Giusti: un luogo dove puoi ridere, pensare, sentirti finalmente non in una partita ma da una parte. Non a sinistra. Solo dalla parte giusta.

Guardi Propaganda Live e capisci che questa è vera televisione e ti sorprendi che non sia su Rai3, che non sia in bianco e nero, che al posto dei ciclostili leggano i tweet, che sugli schermi vadano delle vignette e non la bacheca che decenni fa si trovava nei paesi con in lettura pubblica “L’Unità”. Su queste frequenze non siamo a sinistra, siamo nella pubblicità ideale che i creativi dovrebbero ideare se volessero far capire cos’è oggi la sinistra. La sinistra è passata dai pantaloni di velluto alle t shirt di Zoro, dal picchettare al muoversi sulle punte come fa Zoro.

Zoro è un eroe a cui manca una r: lui lo sa e per questo è come un nostalgico partigiano che si ritrova dalle barricate alle barrique. Diego Bianchi raccoglie i radical chic che sanno di esserlo, che si vantano di esserlo, che difendono la loro condizione di pariolini del PCI che abitano in un film di Nanni Moretti e vivono di impegno. Soprattutto verso le nuove migrazioni: sono i padri comboniani della tv solo che non si muovono dallo studio.

Zoro e compagni sono comunisti laici: la loro satira è sempre un tentativo di sartoria, sono dei gilet gialli da salotto: non discutono, giudicano. E giudicano sempre con un sospeso che lascia intuire che i buoni non fanno mai prigionieri tra i cattivi (non si sa mai dove gira il vento): Zoro e compagni sono come bambini sempre alla lavagna, con le loro cartelle che profumano di grembiule di casa agiata, dove si legge il manifesto e al bar si memorizza “Il Messaggero” per vedere che facce ci sono.

Quella di Propaganda live è La grande bellezza: è un continuo riconoscersi tra chi ha ragione, tra chi è giusto, tra chi vede le cose come vanno davvero ma le dice sottovoce, perché le grida le lasciano agli altri talk show, qui c’è un palco, si suona, c’è il tassista opinionista con la barba rossa che non gli sembra vero di essere in tv, c’è il vignettista sempre interrogativo sul perché non abbia il successo degli altri, c’è la giornalista che sa tutto lei perché è nata così, c’è Marco Damilano con il suo editoriale #spiegone che sembra incrociare la gentilezza dei toni di Massimo Gramellini con le labbra serrate in un ghigno paralizzante alla Gad Lerner.

Damilano dovrebbe spiegarci come mai L’Espresso che dirige tra poco ti costringono a comprarlo la domenica se vuoi leggere La Repubblica. Ed invece è la parte razionale di quel ragazzaccio di Zoro che cresciuto tra il liceo e le videocassette di Corrado Guzzanti, tra la curva e l’eleganza di Prati, si erge a clone tra Fabio Fazio, Saviano e Michele Serra. Ha sempre l’aria di chi tira il sasso e nasconde la mano, di chi non ha una idea politica ma ha la politica delle idee: con quell’accento romanesco che non ha nulla di popolare sembra un eterno liceale. Al posto delle slide di Renzi manda le diapositive, al posto di fare reportage che facciano capire cosa racconta fa reportage che fanno capire che lui c’era.

Il suo Propaganda Live è un Chi l’ha visto della sinistra, è un Porta a Porta di sé stessi, è Un giorno in pretura dove l’imputato non ha chi lo interroga, è una trasmissione di reduci che alla fine hanno nostalgia del proprio filippino e il giorno dopo gli danno la giornata libera. Perché chi guarda da casa capisce che no: noi comuni mortali il comunismo non possiamo permettercelo.

Gian Paolo Serino, 2 febbraio 2019

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